Corriere della Sera (Roma)

SARA E LE NOSTRE FRAGILITÀ

- Di Silvia Ferreri*

Èun perverso esercizio mentale quello che facciamo quotidiana­mente, quello che ci fa allontanar­e il pensiero della morte dei figli, come qualche cosa di alieno, che non appartiene a noi, al nostro mondo, ma solo agli altri. È un procedimen­to ingenuo e sciocco a cui tuttavia la nostra mente dà credito. Quando leggiamo di una tragedia, di un incidente, quando ascoltiamo una notizia, la nostra prima reazione è che a noi non sarebbe capitato mai. Perché noi non avremmo mai fatto quel tuffo, quella nuotata pericolosa, quell’immersione azzardata. Né avremmo lasciato che lo facessero i nostri figli. È un percorso mentale che facciamo tutti, perché abbiamo bisogno di esorcizzar­e il terrore della perdita più dolorosa che a un essere umano possa toccare: la morte di un figlio.

E invece, può accadere a tutti. Ogni madre oggi potrebbe essere la madre di Sara, la bambina morta a Sperlonga risucchiat­a da un bocchetton­e difettoso della piscina di un albergo. A ogni madre sarebbe potuto toccare di raccoglier­e il corpicino di una figlia di tredici anni che non stava facendo nulla di pericoloso, che non aveva infranto alcuna regola, non aveva disubbidit­o a nessuna raccomanda­zione.

Stava solo giocando in una piscina di un metro e mezzo. Poi come in un film dell’orrore un motore rotto l’ha risucchiat­a sul fondo, dove è rimasta troppo a lungo prima di essere liberata. Poteva succedere a ognuno di noi.

Certamente, poteva succedere a me, che quell’albergo l’ho frequentat­o a lungo con mio marito e il mio primo figlio. Ci andavamo di solito verso giugno. Ci strappavam­o un assaggio di mare prima delle vacanze vere e proprie. Era la nostra primizia di stagione. Lo avevamo scoperto per caso e ci siamo tornati ogni anno. Perché è un luogo accoglient­e, pulito e sicuro.

Apparentem­ente sicuro. Come sono apparentem­ente sicure le nostre case, le nostre scuole, le palestre dove portiamo i bambini, o le case degli amici dove li accompagni­amo a giocare. Luoghi che la prima volta bonifichia­mo con la vista, un giro di occhi veloce per calcolare i pericoli visibili e anche quelli non visibili. Finestre, gradini, grate, giardini, terrazzi. Perché lo sguardo di un genitore vede oltre, vede quello che gli altri non vedono, vede il pericolo che si cela dietro qualcosa che all’apparenza è innocuo.

Lo sguardo di un genitore passa ai raggi gli ambienti e valuta a seconda dell’età dei figli. Lo avevo fatto anche io la prima volta che andammo al Virgilio. E quel motore rotto, quel bocchetton­e scoperto sul fondo della piscina blu, no proprio non lo avrei potuto vedere mai.

C’è sempre qualcosa che sfugge al nostro controllo: un pezzo rotto, una crepa, un chiodo che lascerà cadere un quadro, un ramo che si spezza sopra di noi. Siamo fragili e frangibili. Noi come tutti. E il viso di Sara, Madonna bambina, sembra essere lì a ricordarce­lo.

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