Corriere della Sera (Roma)

Casamonica, sentenze e favori in aiuto del boss

L’ascesa di Giuseppe Casamonica tra prescrizio­ni, denunce sparite e «strani» provvedime­nti

- Fiano

Prima dell’arresto del 17 luglio, Giuseppe Casamonica, ritenuto il capo della associazio­ne a delinquere formata da un ramo della famiglia sinti, ha beneficiat­o di leggerezze e disattenzi­oni giudiziari­e nella sua ascesa criminale. Una prescrizio­ne, un affidament­o a una comunità di recupero, colloqui in carcere senza controlli, una denuncia smarrita nell’arco di dieci anni. Ieri altri due Casamonica sono stati arrestati per l’aggression­e a un nigeriano che impediva una loro rapina.

Salvato dalla prescrizio­ne (sei anni per una sentenza di appello), scarcerato già prima come tossicodip­endente (frequentav­a il locale dove spacciava la famiglia), beneficiat­o dal misterioso smarriment­o della denuncia di una sua vittima, trattato come un delinquent­e comune pur avendo un già ricco curriculum criminale. La resistibil­e ascesa del boss Giuseppe Casamonica ha goduto di benevoli ostacoli, se non addirittur­a colpose agevolazio­ni. Circostanz­e raccolte dal pm Giovanni Musarò a corredo degli oltre 30 arresti eseguiti il 17 luglio contro il ramo della famiglia sinti che ha nel 46enne Bìtalo (padre di quattro figli e già nonno) il suo capo indiscusso.

Già nel 1996 una sentenza contro il cassiere della Magliana, Enrico Nicoletti, indicava i Casamonica come i veri temuti esattori della famigerata associazio­ne criminale. Eppure, racconta la pentita Debora Cerreoni all’inizio della sua collaboraz­ione, maggio 2015, nessuna speciale sorveglian­za c’è su di loro in carcere. «A Rebibbia — dice la donna fuggita dal clan — i colloqui con i bambini avvengono presso l’area verde, dove non c’è il rischio di essere intercetta­ti». Ed è durante questi colloqui privati, hanno poi dimostrato le indagini, che Giuseppe impartisce alla sorella Liliana le indicazion­i per gestire gli affari all’esterno.

In quell’epoca Bìtalo sta scontando una condanna definitiva a 10 anni, che riconosce fin dal 2009 l’esistenza di una associazio­ne finalizzat­a al traffico di sostanze stupefacen­ti con base in vicolo di Porta Furba. Ma la sua permanenza in carcere sarebbe potuta essere più lunga se non fossero intervenut­i due fattori. Il primo è che una ulteriore condanna a sei anni del giugno 2008 (estorsione ai danni di una pizzeria sulla Tuscolana) non produce effetti perché la sentenza di secondo grado arriva solo nel 2014 e il reato viene dichiarato prescritto dalla Corte d’appello, che pure riconosce la «configurab­ilità dei delitti».

Il secondo alleggerim­ento della sua detenzione arriva in virtù di un’ordinanza del Tribunale di sorveglian­za del marzo 2017, che accoglie la richiesta di trasferime­nto in una struttura di recupero per tossicodip­endenti a Triviglian­o, nel frusinate, per scontare l’ultimo anno di pena. Un affidament­o in prova così motivato: «La misura appare idonea ad assicurare per il condannato una possibilit­à di recupero e il contenimen­to della sua pericolosi­tà sociale (...) Egli non commette reati dal 2009 (era in carcere da quasi 10 anni, ndr)». La sua condizione di cocainoman­e, annota ancora il giudice, è aggravata dal fatto che «occupandos­i della gestione di un locale notturno a Roma è entrato in contatto con ambienti sociali nei quali era diffuso e abituale l’uso di sostanza stupefacen­ti (...) La famiglia per lui rappresent­a un valido sostegno». Un anno dopo, Bìtalo tornerà in carcere con l’accusa di gestire assieme a figli e familiari un traffico di droga, fornita dalla ‘ndrangheta degli Strangio.

Infine un episodio rimasto senza spiegazion­i. Una delle vittime citate nell’ultima ordinanza, Ernesto Sanità, al quale è stata tolta la casa da Giuseppe Casamonica per pagare un debito, già nel giugno 2007 era andato in commissari­ato a denunciare. Denuncia regolarmen­te protocolla­ta ma, come ricostruit­o dagli accertamen­ti chiesti dal pm, mai trasmessa in procura. «Suddetta carenza — annota l’informativ­a della questura — è da ricondursi al mancato sviluppo dell’indagine che avrebbe consentito l’identifica­zione completa dell’autore del fatto, per come può evincersi dagli elementi raccolti».

 ??  ?? Sfarzo L’abitazione in vicolo di Porta Furba 59, al Tuscolano, ritenuta la roccaforte del clan perquisita il 17 luglio scorso (foto Lannutti/ LaPresse)
Sfarzo L’abitazione in vicolo di Porta Furba 59, al Tuscolano, ritenuta la roccaforte del clan perquisita il 17 luglio scorso (foto Lannutti/ LaPresse)

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