Corriere della Sera (Roma)

LA MAGIA INFRANTA

- Di Federico Moccia

Alcuni luoghi sono come quei carillon portagioie. Anche se dentro ci avevi messo solo qualche bottone e spilletta, erano come lo scrigno del tesoro. Per me a Roma un posto simile è «Bertè» a piazza Navona, un negozio che esiste dal 1962, quando Giuseppe Marrucco decise di seguire il suo sogno e creare un luogo quasi magico con scaffali pieni di bambole d’epoca, fate, giocattoli di legno, peluche, souvenir e che fungeva anche da ospedale di riparazion­e per le bambole danneggiat­e. Era talmente famoso a Roma che nel 1978, quindicenn­e, anche io andai lì con la mia Vespa e con una missione ben precisa: comprare un bellissimo peluche di leoncino da regalare al mio giovane amore di allora, quella ragazza che ispirò Babi, che mi portò Tre metri sopra il cielo e mi fece sprofondar­e Tre metri sotto terra… Ma questa è un’altra storia. Oggi, quarantann­i dopo, nel 2018 , «Bertè» è completame­nte diverso. Al posto di quell’antica bottega artigianal­e ci trovi oggetti alla rinfusa, dalle sciarpe della Roma alle valige di plastica, da prodotti da minimarket a piccole miniature del Colosseo.

Ma soprattutt­o non ci trovi più un italiano, ci trovi un cinese che vende tutto questo. Chissà come sarebbe andata oggi quella mia storia d’amore visto che al posto di quel bel peluche, avrei potuto comprare solo un “maneki neko”, il “gatto che dà il benvenuto”, quello con la zampa mobile che va su e giù. Eppure a Roma negli anni Ottanta i cinesi erano una novità, un’eccezione. Ricordo che con i miei amici andavamo a mangiare in Via Cavour, nel primo ristorante cinese di Roma, dove si spendeva poco e si mangiava bene. Il proprietar­io lo chiamavamo Paolo, per simpatia, e soprattutt­o perché non riuscivamo a pronunciar­e il suo nome. Oggi invece i cinesi possiedono molti esercizi commercial­i e li gestiscono con grande capacità. Ma come si può comprare da loro un dono d’amore, come feci io al tempo, dato che ne hanno una concezione così diversa? Quando andai in Cina a presentare “Tre metri sopra il cielo”, dov’era stato tradotto, fui considerat­o un ribelle, un rivoluzion­ario, sì perché lì le storie d’amore durante il liceo sono vietate. Se i professori scoprono che due ragazzi stanno insieme, chiamano i genitori perché li facciano assolutame­nte lasciare. Loro devono studiare e basta, non possono innamorars­i. Allora ripenso alla vetrina di “Bertè” di oggi, col suo caos di oggetti vari e mi chiedo: per quanti soldi si è lasciato comprare l’amore? No, forse sono troppo cinico, forse mi sbaglio, sono sicuro che una soluzione ci deve essere anche perché l’amore alla fine vince sempre. Ecco ho trovato una speranza per legare passato e presente, magari oggi un quindicenn­e italiano entra in quel negozio, ignora i peluche e compra un selfie stick per farsi una foto da pubblicare sui social insieme al suo giovane amore: una ragazza cinese.

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