Mini market, in Centro è il Far West
Decine di locali vendono cianfrusaglie di ogni tipo e alcolici nelle zone più frequentate dai turisti
Le insegne, che poi sono semplici cartellini, hanno nomi ossessivamente uguali: market, mini market, super market, bar, mini bar. Un’assenza di identità che omologa le decine di non-negozi tutti identici. Un vero negozio presuppone l’esistenza di merci autentiche e di un decente rapporto negoziante-cliente: questi sono semplici locali aperti su strada ossessivamente standardizzati nella collocazione e nella proposta di merci.
Un’epidemia che ha modificato il volto del centro storico, soprattutto tra piazza Navona, Campo de’ Fiori, corso Vittorio. Potrebbero essere aperti in qualsiasi angolo del mondo: acqua minerale, Coca cola, bibite di vario tipo. E poi, naturalmente, cappelli di paglia e di cotone, borse e zaini, collanine. Le scritte da appendere con le calamite incorporate: «Domus Aurea/Benvenuti, casa dolce casa» (sfondo Colosseo), «Roma the eternal city» (ovviamente made in
China, con silhouette colorate del Pantheon, della Fontana di Trevi, naturalmente del Colosseo, dell’Altare della Patria e persino dell’Eur), i quadrati più grandi citano in finto marmo «In Vino Veritas/Spqr», «Veni vidi vici», «Omnia vincit amor».
Volendo, per sei euro è disponibile un ritratto colorato su marmo di Francesco Totti «the Legend». E poi mitragliate di ventagli di plastica e di legno leggero, tutti con l’inevitabile Colosseo, con la povera Fontana di Trevi, o con un ponte che lascia vedere San Pietro coloratissimo al tramonto così come lo immaginerebbe un cinese a Pechino.
Vanno moltissimo, a giudicare dall’offerta, i completi in plastica per bambini desiderosi di mascherarsi da gladiatori (25 euro). Poi i calendari con aitanti modelli camuffati da improbabili sacerdoti (Roma, San Pietro, il Vaticano...) o altrettanti energumeni tatuati spacciati per gladiatori romani, un esemplare umano maschile al mese 10-15-20 euro dipende dalla qualità (si fa per dire) del prodotto.
Molto interesse continuano a riscuotere l’invenzione contemporanea di souvenir mai prodotti a Roma: chi li
Il capitano
Per sei euro disponibile un ritratto colorato su marmo di Francesco Totti «the Legend»
compra, ignora che fino a cinque-sei anni fa nemmeno esistevano. Prendiamo le boccette di limoncello, liquore che è legato alla tradizione gastronomica capitolina esattamente come la romanissima porchetta può ricordare Cortina d’Ampezzo. Eppure gli incolpevoli turisti comprano e portano a casa, convinti che nelle campagne romane si producano agrumi e limoncello invece che l’ottima uva per il Frascati o per l’Est-Est-Est. Così come portano a casa pacchi di pasta tricolore, spesso a forma di organi sessuali maschili, anche quella piazzata sul mercato dei ricordi come «Souvenir of Rome».
Di non-negozi come questi è strapieno l’asse piazza Navona-Campo de Fiori-corso Vittorio. Proprio su corso Vittorio (dove le auto continuano a correre come al circuito di Monza senza nemmeno l’ombra o il sospetto di un vigile, nonostante l’atroce recente tragedia di Caterina Pangrazi travolta da un pullman turistico il 19 luglio) nel tratto tra largo Argentina e il lungotevere se ne possono contare otto: tutti identici, figli della medesima invasione commerciale che ha cancellato botteghe storiche o semplici negozi tradizionali. È come se una pianta endemica avesse invaso le strade del centro, collocando ovunque i propri frutti, ovvero i nonnegozi, gestiti da cinesi, o da immigrati dal Bangladesh, con scarsa familiarità con l’italiano e anche con l’inglese. Talvolta, come nel caso della vecchia e bella cartoleria che si affacciava su corso Rinascimento (anche lì, ben quattro non-negozi) all’angolo con via dei Canestrari (da sola ne ospita tre) si usano gli stigli in legno anni ’50 che hanno certamente un discreto valore da modernariato. Adesso, al posto di libri e materiale da cancelleria, ecco i panama, i foulard con le fontane di Roma, gli ombrelli (nemmeno a dirlo, souvenir
Cattivo gusto Sui calendari si vedono energumeni tatuati spacciati per gladiatori romani
of Rome), un mare di valigie, un monte di zaini anche in pelle, una mitragliata di cappellini col marchio Ferrari, palloni da calcio, sandali infradito, sciarpe della Roma e della Lazio, ma anche di tutte le squadre di serie A, grembiuli per cuochi e cuoche (molto richiesti quelli con il David di Michelangelo vistosamente «corretto» nell’area pubica), bavarole per neonati.
È tutto così, anche in via de’ Baullari e in largo Teatro di Pompeo, dove i non-negozi si trasformano in tre bancarelle che hanno stravolto e interamente occupato la piazza. Un delirio commerciale che ha devastato l’identità estetica di buona parte del centro storico romano. Un atroce delitto culturale che le altre grandi Capitali europee, per loro fortuna, ignorano. Solo a Roma, si dice spesso. Purtroppo è così: solo a Roma.