Sul set di Bhuiyan, 22 anni, bengalese della Casilina
Sul set del film di esordio di Phaim Bhuiyan, di origine bengalese. Una commedia romantica fra tabù e ironia
Nel 2011, a quindici anni, ha lanciato il suo canale da videomaker autodidatta. Obiettivo dichiarato: «Diventare regista». Sette anni dopo Phaim Bhuiyan, 22 anni, romano di famiglia bengalese, diplomato allo Ied nel 2017, quell’obiettivo l’ha raggiunto. Sta terminando riprese e montaggio della sua opera prima, Bangla, di cui è regista, oltre che protagonista e sceneggiatore. Storia d’amore, ironia e pregiudizi. Alla base un incontro casuale, a un contest musicale, tra due ragazzi. Lei, Asia, libera e spigliata, è di Roma nord che, vista da Torpignattara — dove lui, musulmano osservante, è nato e cresciuto — «pare la Svizzera». Ma anche la vicenda personale di Phaim sembra uscita da un film, sebbene lui, tra un ciak e l’altro, la racconti al Corriere con gran naturalezza. «La prima cinepresa? L’ho comprata con i soldi che mi guadagnavo lavorando l’estate al banco nel negozio di mio padre».
Come tutti genitori del mondo, anche quelli di Phaim — il padre è arrivato in Italia nel 1987, poi raggiunto a Roma dalla moglie — lo sognavano dottore, ingegnere, avvocato. Ma non si sono messi di traverso di fronte ai granitici desideri del ragazzo. «Mio padre è molto aperto, però mi ha sempre detto: se devi fare una cosa, falla bene». Ha seguito il consiglio, coltivando la passione per il cinema e per la musica. «Conquistare la borsa di studio allo Ied è stata una bella sudata e una grande soddisfazione. Ho imparato tecniche e segreti fondamentali». Da Domenico Procacci in Fandango, che insieme a Timvision produce il suo film, è arrivato grazie a un servizio sulla comunità bengalese realizzato per Nemo su Raidue. È stato Emanuele Scaringi (nei prossimi giorni debuttante a Venezia con il suo La profezia dell’armadillo da Zerocalcare) a fargli da apripista. «Pensavo volessero vedermi per avere informazioni sui ragazzi di seconda generazione. Invece mi hanno proposto di fare il mio film. Eccomi qui».
Nella storia, scritta a quattro mani con Vanessa Piccarelli, già sua insegnante allo Ied, c’è anche di suo. La sua famiglia — sorella, padre e madre che interpreta se stessa («Ho cercato attrici adatte ma funzionava solo lei. Nelle sue scene la vera regista è lei») —, i soci della band in cui suona, gli altri amici del quartiere, il suo. «Io e mia sorella maggiore siamo nati qui, abbiamo sempre vissuto a Torpignattara. Abbiamo girato nei posti veri, mostrandoli come sono. Torpignattara è un mondo multiculturale, dove varie etnie convivono e anche un luogo legato alla storia di Roma e del cinema, Pasolini e non solo. Ho gran rispetto per tutto questo, ma racconto il mio punto di vista».
Quello di un’anima consapevolmente divisa in due. E pronto a vivere la vita senza rinunciare a nulla. «Certo, come persona di seconda generazione vivi conflitti interni. Hai un piede in due culture, quella di origine e quella italiana». L’equilibrio, racconta, si trova anche grazie all’ironia. «Devi sempre cercare di avere un punto di vista positivo. E non perdere la voglia di dialogare. Io sono credente, in marzo sono stato alla Mecca, ci credo davvero. Mi sono sempre armato di pazienza per rispondere alle curiosità degli amici romani: come fai per il Ramadan? E per l’alcol? E il sesso?».
Nel film si ride anche di questi tabù. E dei pregiudizi. «Eccomi qua, io sono il fidanzato negro di Asia». Si presenta così Phaim alle amiche di Asia, «pischelle di Roma nord», nella scena che si sta girando in un pub in via San Barnaba. E loro: «Ti possiamo fare una domanda: il maiale non lo mangi, ma il cinghiale?».