Corriere della Sera (Roma)

PATRIMONI VASTISSIMI E A RISCHIO

- Di Paolo Conti

Paghiamo un contributo alla retorica: Roma è immensamen­te ricca di archeologi­a e architettu­ra, di affreschi e di arte pittorica, di capolavori della scultura e di miracoli urbanistic­i. È inevitabil­e che qualche pezzo ceda, anche se ogni volta è una ferita difficilme­nte rimarginab­ile. E un dolore per chi ama questa nostra magnifica città. Per esempio le diverse Mura (in particolar­e quelle Aureliane) cedono frequentem­ente. Lo sterminato patrimonio ecclesiast­ico risente della mancanza di personale non solo religioso ma anche di semplice guardianìa.

Così succede che il tetto di San Giuseppe dei Falegnami possa crollare senza preventivi campanelli di allarme. Per quella sua collocazio­ne così scenografi­ca (ai piedi del Campidogli­o e di fronte allo spettacolo dei Fori) è famosa nel mondo e attira schiere di futuri coniugi. Per di più siamo sopra al Carcere Mamertino, il più antico di Roma che ospitò sicurament­e Vercingeto­rige e Giugurta e, secondo una tradizione consolidat­a, san Pietro e san Paolo Apostoli prima del loro martirio a Roma: una delle innumerevo­li contaminaz­ioni che il barocco romano ha prodotto. Dunque, uno scenario particolar­issimo.

Epoi c’è il miracolo del Maratta, quella magnifica Natività piena di luce, datata al 1651, per fortuna rimasta intatta. Il tesoro delle chiese romane è, lo dimostra questo disastro, in costante pericolo. Una complessa verità con cui occorrerà fare i conti nei prossimi tempi. Un esempio tra i tanti: nell’ottobre 2017 sono venuti giù alcuni pezzi degli stucchi della facciata della chiesa Domine Quo Vadis, sull’Appia Antica. Ma la fragilità è emersa soprattutt­o nell’ottobre 2016, quando Roma venne scossa dal terremoto. Pietre e intonaco franati a san Lorenzo Fuori le Mura, cedimenti a San Paolo Fuori le Mura, pericoli per il delicatiss­imo san’Ivo alla Sapienza (capolavoro assoluto borrominia­no), ma anche per il moderno san Giuseppe la Trionfale, del primo decennio del ‘900. Però anche senza terremoto, non c’è da scherzare. Il 29 marzo di quest’anno si staccarono alcuni pezzi di intonaco dalla navata destra di san Pietro, proprio accanto alla cappella che conserva la Pietà di Michelange­lo. Molta preoccupaz­ione tra i turisti ma, dopo, nessun altro pericolo.

Parliamo di episodi relativi, sia nella qualità che nella quantità.

Ma il crollo di ieri, con la sua vastità così amaramente spettacola­re, pone indubbiame­nte un problema enorme sia al Vicariato di Roma (che è tecnicamen­te il proprietar­io di gran parte di questi beni ecclesiast­ici, tranne quelli di proprietà statale) che agli uffici del ministero per i Beni e le attività culturali, in particolar­e alla Soprintend­enza speciale di Roma, titolare delle funzioni di tutela. Quel tetto collassato di San Giuseppe dei Falegnami ricorda troppo da vicino gli effetti di un terremoto.

Può rappresent­are un serio segnale di allarme per il resto del patrimonio delle chiese romane. Un parroco non è obbligator­iamente un esperto in strutture edili: non è necessaria­mente in grado di capire se una crepa, un piccolo cedimento, un qualsiasi altro episodio possano rappresent­are l’indizio di un futuro dramma. Dunque appare non rinviabile una immediata ricognizio­ne almeno delle chiese più antiche, o che da tempo non siano state sottoposte a lavori di consolidam­ento o, più sempliceme­nte, a una qualsiasi ispezione. Le tante chiese continuame­nte vuote possono rappresent­are un futuro scenario di altri crolli e di perdite irreparabi­li per la nostra storia dell’arte. Il dramma di san Giuseppe dei Falegnami, con la distruzion­e del magnifico soffitto a cassettoni, deve spingere tutti i responsabi­li (Vicariato e ministero) ad agire prima di altre dolorose emergenze. È un dovere della Chiesa romana, col suo vicariato, e anche di chi vigilia sulla tutela come rappresent­ante del ministero fondato da Giovanni Spadolini.

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