PATRIMONI VASTISSIMI E A RISCHIO
Paghiamo un contributo alla retorica: Roma è immensamente ricca di archeologia e architettura, di affreschi e di arte pittorica, di capolavori della scultura e di miracoli urbanistici. È inevitabile che qualche pezzo ceda, anche se ogni volta è una ferita difficilmente rimarginabile. E un dolore per chi ama questa nostra magnifica città. Per esempio le diverse Mura (in particolare quelle Aureliane) cedono frequentemente. Lo sterminato patrimonio ecclesiastico risente della mancanza di personale non solo religioso ma anche di semplice guardianìa.
Così succede che il tetto di San Giuseppe dei Falegnami possa crollare senza preventivi campanelli di allarme. Per quella sua collocazione così scenografica (ai piedi del Campidoglio e di fronte allo spettacolo dei Fori) è famosa nel mondo e attira schiere di futuri coniugi. Per di più siamo sopra al Carcere Mamertino, il più antico di Roma che ospitò sicuramente Vercingetorige e Giugurta e, secondo una tradizione consolidata, san Pietro e san Paolo Apostoli prima del loro martirio a Roma: una delle innumerevoli contaminazioni che il barocco romano ha prodotto. Dunque, uno scenario particolarissimo.
Epoi c’è il miracolo del Maratta, quella magnifica Natività piena di luce, datata al 1651, per fortuna rimasta intatta. Il tesoro delle chiese romane è, lo dimostra questo disastro, in costante pericolo. Una complessa verità con cui occorrerà fare i conti nei prossimi tempi. Un esempio tra i tanti: nell’ottobre 2017 sono venuti giù alcuni pezzi degli stucchi della facciata della chiesa Domine Quo Vadis, sull’Appia Antica. Ma la fragilità è emersa soprattutto nell’ottobre 2016, quando Roma venne scossa dal terremoto. Pietre e intonaco franati a san Lorenzo Fuori le Mura, cedimenti a San Paolo Fuori le Mura, pericoli per il delicatissimo san’Ivo alla Sapienza (capolavoro assoluto borrominiano), ma anche per il moderno san Giuseppe la Trionfale, del primo decennio del ‘900. Però anche senza terremoto, non c’è da scherzare. Il 29 marzo di quest’anno si staccarono alcuni pezzi di intonaco dalla navata destra di san Pietro, proprio accanto alla cappella che conserva la Pietà di Michelangelo. Molta preoccupazione tra i turisti ma, dopo, nessun altro pericolo.
Parliamo di episodi relativi, sia nella qualità che nella quantità.
Ma il crollo di ieri, con la sua vastità così amaramente spettacolare, pone indubbiamente un problema enorme sia al Vicariato di Roma (che è tecnicamente il proprietario di gran parte di questi beni ecclesiastici, tranne quelli di proprietà statale) che agli uffici del ministero per i Beni e le attività culturali, in particolare alla Soprintendenza speciale di Roma, titolare delle funzioni di tutela. Quel tetto collassato di San Giuseppe dei Falegnami ricorda troppo da vicino gli effetti di un terremoto.
Può rappresentare un serio segnale di allarme per il resto del patrimonio delle chiese romane. Un parroco non è obbligatoriamente un esperto in strutture edili: non è necessariamente in grado di capire se una crepa, un piccolo cedimento, un qualsiasi altro episodio possano rappresentare l’indizio di un futuro dramma. Dunque appare non rinviabile una immediata ricognizione almeno delle chiese più antiche, o che da tempo non siano state sottoposte a lavori di consolidamento o, più semplicemente, a una qualsiasi ispezione. Le tante chiese continuamente vuote possono rappresentare un futuro scenario di altri crolli e di perdite irreparabili per la nostra storia dell’arte. Il dramma di san Giuseppe dei Falegnami, con la distruzione del magnifico soffitto a cassettoni, deve spingere tutti i responsabili (Vicariato e ministero) ad agire prima di altre dolorose emergenze. È un dovere della Chiesa romana, col suo vicariato, e anche di chi vigilia sulla tutela come rappresentante del ministero fondato da Giovanni Spadolini.