Corriere della Sera (Roma)

Abel Ferrara racconta piazza Vittorio

Abel Ferrara stasera a «Notti di cinema» dove sarà proiettato il suo film «Piazza Vittorio»

- di Natalia Distefano

Rivendica con passione le origini italiane – nel suo albero genealogic­o ci sono i nonni campani, di Sarno – e quattro anni fa ha scelto di vivere a Roma. Ma Abel Ferrara, newyorkese del Bronx, continua a sentirsi un «immigrato». Come ripete più volte nel suo Piazza Vittorio, film documentar­io girato nel quartiere multietnic­o della Capitale dove stasera il regista è atteso per presentarn­e l’anteprima romana nell’ambito della rassegna «Notti di cinema e... a Piazza Vittorio» (alle 21 nei giardini della piazza, biglietto 7 euro. Info: www.aneclazio.it).

«Sono un immigrato come lo fu mio nonno in un’America che aveva bisogno di lavoratori stranieri – commenta Ferarra – e infatti io sono qui per lavorare. Lui cercava un’opportunit­à a New York e io la sto inseguendo a Roma, questo luogo speciale, come fanno pure tanti altri italiani e non incontrati durante le riprese del film». Migranti di ogni nazionalit­à ma anche rifugiati. «Per loro è diverso – aggiunge il regista – perché non cercano solo un impiego ma scappano dalla povertà, dalla guerra, dalle violenze e dalla persecuzio­ne politica. In senso lato è capitato anche a me negli Stati Uniti, dove non trovo più le condizioni per lavorare come vorrei».

La pellicola racconta il rione e chiunque lo abita o frequenta: dai commercian­ti ai gestori dei chioschi aperti fino a notte fonda, dalla badante straniera al griot, dai sudanesi accampati sotto i portici ai residenti storici, fino agli artisti che se ne sono innamorati come Matteo Garrone e Willem Dafoe e i vicini di Casa Pound. Niente filtri ed

❞ Il mio film proiettato proprio a piazza Vittorio. Credo che l’intero quartiere potrà riconoscer­si sul grande schermo in maniera sincera

edulcorazi­oni, nessun set, solo una troupe ai minimi termini e un montaggio schietto che attinge a piene mani anche negli archivi video dello smartphone di Ferrara. «D’altronde io vivo in questa zona, qui faccio colazione al bar, incontro gli amici, compro la spesa – racconta Ferrara – e l’intenzione era di raccontare la nuda realtà, dunque la telecamera del cellulare si è rivelata preziosiss­ima: mi ha permesso di inquadrare quello che accadeva ogni giorno intorno a me e che ritenevo interessan­te, in maniera estemporan­ea. Autentica e immediata».

Presentato fuori concorso alla Mostra del Cil’anima nema di Venezia nel 2017, arriva nelle sale italiane il 20 settembre. Intanto stasera si accende sullo schermo allestito nel cuore del quartiere che lo ha ispirato. «Il mio Piazza Vittorio proiettato proprio a piazza Vittorio, non potevo desiderare di meglio – dice il regista – è qualcosa di magico, sarà una serata unica e credo che l’intero quartiere con la sua variopinta umanità potrà riconoscer­si sul grande schermo in maniera sincera». L’operazione ha le virtù del Neorealism­o, di cui Ferrara si confessa ammiratore: «Ammiro molto Roberto Rossellini, Michelange­lo Antonioni e il Bernardo Bertolucci degli esordi, dei veri maestri».

Ma in questo film, che ha del diario personale, l’unica grande insegnante è stata la telecamera. «Ciò che è finito nell’obiettivo è il messaggio, tutta l’essenza del documentar­io – spiega il regista – perché la ragione per cui sono sceso in strada e l’ho girato è stata il desidero di avvicinarm­i all’identità della piazza, conoscerla davvero per capirla meglio, approfondi­re il mio punto di vista e magari cambiarlo, per dare voce alle sue facce e storie. Senza artefatti né pretese di riflettere l’intera città. Perché Roma non è tutta uguale, non è solo il Colosseo da cartolina. È sconfinata e io volevo mettere a fuoco la mia Roma: Piazza Vittorio».

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Doc In alto, «Piazza Vittorio». Accanto, Abel Ferrara (67 anni)

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