Wrongonyou, le note di Rebirth in concerto
Da Grottaferrata al Texas Wrongonyou è una stella del folk, ma da bambino voleva fare il calciatore
Da Grottaferrata all’Università di Oxford, dove un professore di Sound Technology lo invitò a incidere alcune sue tracce intercettate in rete. «Quella demo non fu mai pubblicata ma accese una scintilla, convincendomi che la musica era il mio destino». Wrongonyou, al secolo Marco Zitelli, racconta così l’inizio di un’avventura artistica che in tre anni lo ha portato sui palchi di Europa Vox (Francia), Eurosonic Noorderslag (Olanda), Primavera Sound (Spagna), South by South West Festival (Texas), nonché ai nostri Home Festival e Concertone del Primo Maggio.
Nome d’arte intraducibile sembra inglese, invece è sgrammaticato anche per i britannici – e un debut album Rebirth che continua a macinare consensi, il cantautore romano è atteso stasera ad Aprilia per «Io suono con Damiano». «È l’ultima tappa del tour, poi torno in studio», annuncia il gigante pacifico dell’elettro-folk italiano: classe 1990, un metro e novantadue di altezza e una voce che insegue le emozioni (in inglese) addentrandosi in sonorità rimaste quasi incontaminate nel panorama nostrano. Tanto che il paragone più credibile è con Justin Vernon degli americani Bon Iver. «Si fatica a catalogarmi – ammette – ma non mi preoccupa. Agli esordi è stato così anche per Elvis. Lo prendo come un buon segno e comunque le etichette non mi piacciono. Suono e canto perché componendo esprimo me stesso, senza maschere».
Vero. Infatti basta scorrerne la discografia e i videoclip per ritrovarsi sulle rive del «suo» Lago di Castel Gandolfo (Lake) o dentro il Bosco delle Fate di Viterbo (dove ha girato il video di Killer). «Viaggio molto ma Roma è la mia casa, una città cruda e romantica allo stesso tempo. Io poi sono cresciuto ai Castelli Romani e preferisco una tranquilla passeggiata nel verde ad un aperitivo mondano – confessa – ma non sono asociale. Piuttosto direi timido, introverso, sebGarbato bene il lavoro stia scardinando la mia proverbiale riservatezza». Ad esempio per convivere coi social network ha una strategia: «Se posto qualcosa non è mai senza significato, condivido solo pensieri in cui credo».
ma incisivo, essenziale ma dirompente. Come la sua musica, che ha sedotto persino il cinema. «Alessandro Gassman prima mi ha voluto nella colonna sonora de Il
premio - racconta – e poi mi ha convinto a interpretarne anche un ruolo. Mi è piaciuto ma su tutto prevale la musica». Una passione a lungo sopita, che si è rivelata inevitabile: «A 7 anni volevo fare il calciatore ma una caviglia rotta la sera prima del provino con Bruno Conti, che allenava i pulcini della Roma, infranse il mio sogno da piccolo romanista. Andai lo stesso, solo per scattare una foto con lui». Non funzionò neanche col basket, gli studi in Storia dell’Arte e il lavoro nei musei. «Non lo facevo per me – spiega - così un giorno mollai tutto e dissi a mia madre: Voglio cantare! S’arrabbiò, ora invece è una fan, mi chiama addirittura col diminutivo d’arte: Wrong».