Jérôme Bel: «La mia danza è per tutti»
Il coreografo francese all’Argentina con «Gala» Sul palco professionisti e persone comuni: faccio coesistere, allo stesso modo, individui diversi
Venti danzatori sono stati selezionati a Roma, con una modalità adottata per precedenti lavori. Persone più o meno vicine al balletto, a lui sconosciute fino all’arrivo in città. Un segno distintivo, per Jérôme Bel, coreografo e regista francese che firma Gala, stasera e domani alle 20 al Teatro Argentina. Gala è un invito rivolto alla cittadinanza a costruire insieme al coreografo uno spettacolo. In scena un giovane sulla sedia a rotelle, persone tutt’altro che filiformi e ragazzini, ballerini alle prime armi accanto a professionisti. L’ultima tappa del lavoro di Bel, che dopo gli studi ad Angers e varie esperienze come danzatore, diede vita negli anni 90 alle prime creazioni sul grado zero della danza, per poi inseguire quell’idea di democrazia.
Ricorda, durante le prove all’Argentina: «Illuminante fu un invito dell’attrice Jeanne Balibar ad animare laboratori con non professionisti alla periferia di Parigi. Non sapevo come trovare un terreno comune per persone di età e culture disparate. Ho capito subito di essere di fronte a un problema socio-politico, che sarebbe stato interessante risolvere coreograficamente. Così mi sono rimboccato le maniche, per far coesistere sulla scena in maniera ugualitaria individui diversi».
Dopo Disabled Theater, in cui protagonisti erano disabili mentali, e Cour d’honneur, con comuni spettatori, in Gala i danzatori salgono in scena in abiti da festa. Spiega Bel: «Ad affascinarmi, negli amatori — spiega — è la loro fragilità. Sono disarmati. Si lasciano trascinare dal piacere e dal desiderio, e sono in perpetua trasformazione: non saranno mai compiuti. Lo slancio, i loro tentativi, sono affini alla mia poetica. Io non cerco la padronanza del mestiere, mi avvicino piuttosto a un’idea sperimentale di teatro che consiste nel provare, tentare, esplorare. Meglio uno spettacolo mal riuscito e coraggioso, di uno riuscito, ma già visto: Prova di nuovo, fallisci un’altra volta, fallisci meglio, diceva Beckett».
La danza contemporanea? «La trovo terribilmente uniforme. Nel 99 per cento degli spettacoli i danzatori hanno dai 20 ai 35 anni, sono agili, in piena forma, e abbastanza belli, se non bellissimi. Una scelta estremamente limitativa. Esistono moltitudini di corpi, e bisognerebbe rappresentarli tutti! Ammettiamolo: la danza contemporanea ha prodotto un accademismo degno della danza classica».
Come ispirazioni, cita da Romeo Castellucci al marchese de Sade, da Le Corbusier a John Cage, Duras, Matisse, Camus, Kiarostami, Levi, Carmelo Bene .... L’Italia ha un ruolo di primo piano: «Ho imparato molto da Caterina Sagna, dal suo rapporto con la letteratura e dalla sua raffinatezza. Ammiro Claudia Triozzi, che vive e lavora a Parigi. E seguo le opere di Kinkaleri, di Cristina Rizzo, Annamaria Ajmone, Chiara Bersani...». Guai a evocargli l’etichetta «non danza»: «Una definizione ridicola di un vostro collega de Le Monde». «In Francia — è ottimista — non si può dire che la danza contemporanea sia popolare, ma richiama un pubblico sempre più ampio. Attrae cineasti, artisti visuali, scrittori. Finalmente entra in dialogo da pari a pari con altre discipline!». Fra i prossimi impegni, una retrospettiva per i 25 anni di carriera, la Biennale di danza di Lione, e una proposta che non t’aspetti, da un coreografo: «Leggerò pubblicamente la Lezione sul nulla di John Cage. È il mio idolo».
I provini
A Roma sono stati selezionati venti ballerini, molti di loro senza competenze