Riecco Andreazzoli, il più «apprezzato» nemico della Lazio
Il tecnico dell’Empoli guidava i giallorossi nel derby-finale di Coppa Italia vinto nel 2013
Carissimo nemico. Il più apprezzato tra gli avversari. Perché ricorda alla Lazio e a tutto il mondo biancoceleste una data scolpita nella storia, il 26 maggio 2013, e una Coppa Italia alzata al cielo in un’indimenticabile derby di finale. Chi c’era sulla panchina della Roma, il giorno fatidico? Un uomo che oggi ha 64 anni, quasi 65, e che fino a pochi mesi fa era ricordato nel mondo del calcio – a volte davvero ingeneroso – soprattutto per quella sconfitta: Aurelio Andreazzoli.
Meno male che oggi, allenatore dell’Empoli neopromosso, c’è chi lo celebra anche per il campionato che ha appena vinto e che lo ha catapultato di nuovo in A, dove domenica affronterà proprio la Lazio. La squadra che ha cambiato la sua storia. Eppure Andreazzoli – toscano di Massa, cresciuto ai piedi delle Apuane, le montagne di marmo – ha fatto molto altro nella sua vita. Ha allenato una decina di squadre, dai dilettanti alla serie C passando per le giovanili della Fiorentina, prima che Spalletti lo chiamasse a Udine: ho bisogno di un vice bravo e che la pensa come me, raggiungimi.
Nel 2005, Aurelio ha seguito Luciano nella sua avventura alla Roma. Quella che, con il tempo e in mezzo alle difficoltà, è diventata la sua seconda casa, dov’è rimasto anche quando Spalletti ha preso altre vie, volando in Russia: lui nella capitale ha collaborato con Montella, Luis Enrique, Zeman, spalla adatta a ogni tecnico.
Di Andreazzoli, in tutti quegli anni, si è parlato poco, anzi in pratica solo una volta. Era l’autunno del 2006 e Rodrigo Taddei, in una partita di Champions contro l’Olympiacos, mostrò all’Europa una finta mai vista prima, al punto da apparire casuale: la palla – controllata di destro – percorse un giro impossibile attorno al sinistro, liberando il brasiliano per il tiro. Ma che giocata è mai questa? «L’Aurelio», sorrise a trentadue denti Taddei, dedicando quel colpo ad Andreazzoli con il quale l’aveva provato e affinato.
Poi, un giorno di febbraio del 2013, la Roma decise di licenziare Zeman e affidò proprio a lui, Aurelio, una squadra malmessa. Era la sua grande occasione, avrebbe potuto cominciare una seconda brillante carriera, ma a volte basta un gol per cambiare la storia di un uomo. E lui quel gol lo subì, il 26 maggio: era il 71’, lo segnò Lulic.
Quanto accadde nei giorni successivi Andreazzoli lo ricorda ancora con amarezza e rabbia. Gli sfottò insistenti dei laziali si fondevano con la delusione feroce dei giallorossi e lui diventò un obiettivo – non il principale, per la verità – degli uni e degli altri. Si sentì vittima di un’ingiustizia, tutto gli sembrò eccessivo e insopportabile. Fece un passo indietro, anzi anche due o tre, tornando a lavorare a Trigoria per sfruttare le sue apprezzate conoscenze tecniche. E lì è rimasto fino all’estate del 2017 quando, arrivato Di Francesco, ha deciso di fare il nonno.
Qualche mese dopo lo ha chiamato l’Empoli: aiutaci a tornare in A. Detto, fatto. E adesso che in Toscana arriva la Lazio, come la prenderà Andreazzoli? Racconterà banalmente che è una partita come le altre, ma non dategli retta: quel 26 maggio gli è rimasto sotto la pelle.
La ferita
Non si è mai rimarginata del tutto. Ma in Toscana Andreazzoli è rinato