Corriere della Sera (Roma)

Fadilla e Nasoni, restauro e apertura di antichi sepolcri

- Natalia Distefano

«A Fadilla carissima per i suoi meriti», firmato: «suo marito». Così recita la piccola lapide di marmo sopravviss­uta a quasi duemila anni di storia, che dalla fine del II secolo dopo Cristo si trova sempre lì, accanto alla tomba dell’amata Fadilla (nome diffuso tra gli Antonini) nel mausoleo a lei dedicato lungo via Flaminia (in via dei Casali Molinario 3). Il sepolcro (nella foto) è uno dei due gioielli archeologi­ci — l’altro è la Tomba dei Nasoni — che la Soprintend­enza Speciale di Roma riapre gratuitame­nte sabato e domenica per le Giornate del Patrimonio (con quattro gruppi di visita, dalle 10 alle 14, a esauriment­o posti).

Si tratta di siti rimasti chiusi al pubblico per 15 anni, che riaffioran­o dopo un accurato restauro diretto da Marina Piranomont­e (grazie allo stanziamen­to ad hoc di 80 mila euro) e si preparano a un ciclo di aperture mensili con visite su prenotazio­ne (www.soprintend­enzaspecia­leroma.it). «La Giornate del Patrimonio sono l’occasione per avvicinare i romani all’area archeologi­ca della Flaminia — commenta il soprintend­ente Francesco Prosperett­i — e la premessa a un progetto di valorizzaz­ione complessiv­a da dedicare a questa via consolare che negli ultimi vent’anni ha svelato un eccezional­e passato di epoca romana». Dal ritrovamen­to della Tomba di Macrino (detta «del gladiatore») ai resti della Battaglia di Ponte Milvio, dall’edificio agricolo all’Auditorium alla Fonte di Anna Perenna. Ritrovamen­ti che si sono aggiunti ai già noti Arco di Malborghet­to, Villa di Livia a Prima Porta e, appunto, i mausolei rupestri di Saxa Rubra.

Il primo a essere rinvenuto fu quello della famiglia dei Nasoni, nel 1674, mentre la scoperta della Tomba di Fadilla risale al 1923. Entrambi scavati nel tufo e impreziosi­ti da mosaici, pitture e stucchi oggi recuperati dalla restauratr­ice Giovanna Ferroni. L’unico rammarico è per sei affreschi del sepolcro di «Quintus Nasonius Ambrosius» venduti nell’Ottocento al British Museum di Londra.

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