Roma in crisi, Pallotta sotto accusa
Avvio disastroso in campionato e in Champions, la tifoseria scatenata a caccia dei colpevoli Il gruppo è alle corde, la società per ora conferma Di Francesco. Nuovo stadio, progetto avanti
La Roma in piena crisi e la città giallorossa sotto choc: l’avvio disastroso in campionato ha scatenato l’ambiente, ora a caccia dei colpevoli. Il primo a finire sul banco degli imputati è il presidente James Pallotta, mentre il tecnico per ora è confermato dalla società, che aspetta di vedere come andranno le prossime gare contro Frosinone e Lazio. Nuovo stadio: il progetto va avanti.
Il calendario è il miglior alleato di Eusebio Di Francesco, ma bisogna trovare il modo di non «disgustare» più il presidente Pallotta.
«Completely disgusted» è il commento che il Boss ha rilasciato sul sito RomaPress.us pochi minuti dopo il fischio finale di Bologna-Roma. L’avverbio «completamente» non è stato usato a caso. Non è un complimento al cuoco che gli ha cucinato il piatto (Di Francesco), ma tiene presente anche chi gli ha fatto la spesa (Monchi) e chi tiene la gestione del ristorante (l’ampia dirigenza).
Fuori dalla metafora culinaria: ognuno deve fare il suo dovere. Pallotta paga per questo. E ognuno deve fare il suo dovere è anche il senso degli incontri a Trigoria: prima Monchi-Di Francesco e poi Di Francesco-giocatori. In sintesi: nessuno ha più il posto assicurato.
Il club non ha intenzione di cambiare il tecnico: non ci sono trattative in corso con altri allenatori. Detto quello che è giusto dire, resta una situazione che è sotto gli occhi di tutti: 5 punti dopo 5 giornate, -10 dalla Juve, -7 dal Napoli, -4 dalla Lazio e -2 dall’Inter, che sembrava attraversare una crisi epocale.
La squadra non fa risultati, gioca male e si attira la contestazione dei tifosi. Domenica, a Bologna, dopo aver tifato per 85 minuti, la curva ha cominciato a rumoreggiare e nell’occhio della contestazione è finito soprattutto Pallotta. Domani sera, nel turno infrasettimanale contro il Frosinone (ore 21), l’Olimpico sarà molto caldo. Sabato prossimo ci sarà il derby, martedì 2 ottobre la Champions contro il Viktoria Plzen.
Tre sono i motivi che tengono ancora Di Francesco sulla sua panchina: l’incastro ravvicinato di partite, la mancanza di reali candidati per la sua sostituzione e - last but not least - il legame forte con Monchi. Il fallimento di uno sarebbe il fallimento dell’altro e il d.s. sarebbe pronto anche ad eventuali dimissioni.
La Roma sta vivendo il momento più difficile: lo stallo sulla questione stadio sta stremando Pallotta; la campagna acquisti di Monchi - le cessioni sono andate benissimo - ha sgretolato in quattro mesi la squadra che aveva giocato la semifinale di Champions; la gestione di Di Francesco sta depauperando il valore della «rosa» e questo, in un club che vive di trading, è il difetto peggiore.
Una parte consistente di tifosi continua a vedere nei calciatori i principali colpevoli. Però è legge del calcio che non si possano mandare via 25 giocatori, per di più protetti da ricchi contratti. Si possono punire - ad esempio con il ritiro che è stato loro imposto, a Trigoria, fino a domani sera - ma non si può andare molto più in là.
Quando le cose vanno male, il gossip la fa da padrone. Così c’è chi parla di spogliato-
io spaccato tra vecchia guardia e giovani rampanti. L’unico momento di vero contatto è l’insoddisfazione. Il gruppo storico, che Di Francesco fin qui ha utilizzato con minutaggi stakanovisti (Dzeko e Manolas 450, Kolarov 387, Fazio 333), non ha metabolizzato le cessioni di Alisson, di Nainggolan e soprattutto di Strootman, perché arrivata a mercato in entrata chiuso. I ragazzi vedono che solo con loro, almeno finora, è stato usato il bastone e mai la carota.
«Adesso devo scegliere prima gli uomini e poi i giocatori», ha detto domenica sera Di Francesco. Chi resterà fuori nelle prossime gare avrà così la patente di chi si allena male e anche questa tensione di sicuro non aiuta.