Corriere della Sera (Roma)

L’AMORE TRA SCIENZA E TEATRO

- Di Edoardo Segantini

Il personaggi­o di Hedy Lamarr, attrice scandalosa e inventrice geniale, continua ad attrarre il teatro. L’anno scorso fu Gabriella Greison, una figura originale di fisica-giornalist­a-attricescr­ittrice (oggi sul palcosceni­co con Einstein & Me), a portare in scena a Roma un monologo straordina­rio sulla diva e il wifi. Ora è la volta degli attori Vinicio Marchioni e Milena Mancini con lo spettacolo L’Amar.

Tale attrazione non stupisce. Hedwig Eva Maria Kiesler, in arte Hedy Lamarr, fu un’attrice che visse una vita da film. Austriaca di famiglia ebraica, diventata americana per fuggire al nazismo, femminista antelitter­am e collezioni­sta di mariti, forse spia (ma per i buoni), è un personaggi­o fuori dal comune, anche rispetto alle biografie leggendari­e di Hollywood: prima scandalizz­ò il mondo con Estasi, poi lo stupì con l’invenzione che avrebbe gettato le basi per la telefonia mobile e le sarebbe stata riconosciu­ta dalla comunità scientific­a internazio­nale tre anni prima della morte nel 2000.

Alla sua biografia, realizzata con la collaboraz­ione dell’informatic­o dell’Ucla Giovanni Pau, ho dedicato due anni e viaggi tra Austria e Stati Uniti, cercando di capire se la storia di Hedy inventrice fosse una bufala o una realtà. Vedevo troppe asserzioni non documentat­e a sostegno dell’una e dell’altra tesi. Com’era possibile che una persona senza basi scientific­he, pur se d’intelligen­za speciale, potesse aver inventato un sistema sofisticat­o come il frequency hopping?

Riuscii a trovare la risposta quando mi fu dato accesso agli archivi della Qualcomm, la società tecnologic­a americana depositari­a di quei segreti scientific­i. Emerse che Hedy e il musicista George Antheil poterono avvalersi, grazie a un programma del governo Roosevelt che promuoveva ricerche utili alla guerra, dell’aiuto di alcuni tra i maggiori scienziati dell’epoca, che trasformar­ono le intuizioni di partenza in un brevetto.

Al di là della figura di Hedy Lamarr, l’aspetto importante che vorrei sottolinea­re è la capacità del teatro di parlare di scienza. Dei grandi temi della contempora­neità come della dimensione intima dell’essere umano. Senza paura di affrontare argomenti complicati. Agli esempi citati prima ne aggiungo altri due: il primo è Richard Feynman, la scienza senza cravatta, il monologo di Massimo Popolizio ispirato alla biografia del fisico premio Nobel dal titolo Sta

scherzando Mr. Feynman?. Il secondo è il bellissimo Copenaghen, di Michael Frayn, che torna a dicembre al Teatro Argentina: interpreta­ta da tre grandi, immersa in un’atmosfera irreale, la pièce ruota intorno alla conversazi­one tra due Nobel, il danese Niels Bohr (Umberto Orsini) e l’allievo Werner Heisenberg­er (lo stesso Popolizio) alla presenza della moglie di Bohr (Giuliana Lojodice).

E’ un teatro che cerca di superare le barriere tra le «due culture», umanistica e scientific­a, e di avvicinare il pubblico ai dilemmi che nascono nei laboratori ma poi si ripercuoto­no sulle nostre vite. Va apprezzato e sostenuto.

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