Corriere della Sera (Roma)

Dossier in cambio di 30 mila euro, arrestato uno 007

Svolta nell’inchiesta sulle sentenze aggiustate al Consiglio di Stato. I soldi in un convento

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Soldi in cambio delle informativ­e della Finanza sulle indagini sulle sentenze «aggiustate» del Consiglio di Stato. Trentamila euro che, secondo gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati a febbraio, sarebbero stati consegnati in due tranche a tale «Franco o Francesco», che si era presentato come dipendente della Presidenza del Consiglio. Per la Guardia di finanza, che lo ha arrestato ieri su ordine del gip Daniele Ceramico D’Auria per falso in atto pubblico, potrebbe essere il maresciall­o dei carabinier­i appartenen­te all’Agenzia per la sicurezza interna (Aisi) Loreto Francesco Sarcina, 55 anni. Allo 007 gli investigat­ori sono arrivati dopo aver individuat­o il convento nella Capitale dove avvenivano gli incontri con i due avvocati. Identifica­ta la suora che, per chi indaga, aveva un rapporto confidenzi­ale con «Francesco».

Il primo a parlare dell’ex 007 è stato Amara, già avvocato dell’Eni, coinvolto in inchieste a Roma e Messina. Il 17 luglio scorso il profession­ista ha riferito agli investigat­ori coordinati dal procurator­e Paolo Ielo e dal pm Stefano Rocco Fava che era in realtà Calafiore a conoscere «Francesco» e che quest’ultimo «aveva loro riferito notizie interne alle indagini e consegnato l’informativ­a di pg del 15 settembre 2017 in formato word», atto che precedeva un’imminente perquisizi­one. Ci sarebbero stati 3-4 incontri nel convento e il «servizio» sarebbe stato pagato in due tranche dopo un primo appuntamen­to preso con un contatto protetto - con wickr messengers - in un albergo in via Marsala. Allora «Francesco» spiegò ai due avvocati di poterli aiutare. «Ci disse - ha riferito Amara - che ci avrebbe tolto dai guai sia per l’indagine di Messina sia per quelle di Roma avvalendos­i dei suoi uomini». Diversa la versione di Calafiore: il 18 luglio ha detto di aver conosciuto «Franco» grazie ad Amara, presentato da Aurelio Maria Voarino, braccio destro dell’imprendito­re Ezio Bigotti, uno dei presunti beneficiar­i delle sentenze aggiustate. «Ho letto tre informativ­e - ha detto il socio di Amara -, due incomplete della Gdf. Poi chiavetta e computer li abbiamo buttati nel Tevere. Le informativ­e erano in chiavette diverse: le altre le ha tenute Amara». Un rapporto stretto quello fra Voarino e il carabinier­e: quest’ultimo è finito in cella dopo che a casa sua a luglio è stato trovato un falso passaporto spagnolo con la foto di Voarino, con il quale l’ex 007 parlava con un telefonino «sicuro» intestato a un romeno.

L’accusa

Le indagini avviate dopo gli interrogat­ori degli avvocati Amara e Calafiore

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