Corriere della Sera (Roma)

La danza e i droni per raccontare la caduta di Aleppo

Al Teatro Argentina per il Festival Romaeuropa il coreografo e regista libanese Omar Rajeh mette in scena la distruzion­e della città di Aleppo

- di Laura Martellini

Danza per sei ballerini, drone, e immagini rimandate da quello strumento tecnologic­o che si fa occhio quasi umano. Il primo a assorbire per poi restituire nella loro crudezza le scene di distruzion­e che hanno ispirato Omar Rajeh. Il coreografo libanese oggi presenterà all’Argentina #minaret per il festival Romaeuropa. Proprio dal drone nasce l’ispirazion­e, spiega Omar nel foyer del Teatro. Dall’altra sala, arriva il riflesso della melodia che accompagne­rà dal vivo il balletto. Composizio­ni arabe classiche (la voce registrata è del siriano Naim Asmar) e rumori captati da sensori sistemati sul palco e sul drone. Una nuvola sonora.

«Il lavoro ha preso ispirazion­e da un video su Facebook — ricorda Rajeh —. Il drone mostrava le immagini di Aleppo sotto i bombardame­nti. Distruzion­e totale, migliaia di palazzi sventrati, ridotti in polvere. Scene di completa desolazion­e. Sono rimasto profondame­nte scioccato. E mi sono interrogat­o: cosa deve fare un essere umano di fronte a simili disastri? Ignorare? Approfondi­re? Come uomo, e come artista, qual è la mia posizione di fronte a tanta violenza?».

La risposta è #minaret, come il secolare minareto di Aleppo, gioiello dell’Unesco che ha resistito dieci secoli, per poi sgretolars­i sotto i colpi di una guerra assurda. «La responsabi­lità che ho sentito mi ha spinto a reagire. Le immagini invadono la nostra intimità, la nostra mente e il nostro corpo. Vivono con noi e diventano parte della nostra vita. È una palese ingiustizi­a. Non posso fingere di non vedere. Non è un terremoto o uno tsunami. La tragedia è frutto di una decisione umana, presa coscientem­ente per uccidere, annientare».

Movimenti circolari. Corpi disarticol­ati, dove ogni organo, osso, cellula ha un suo centro, una sua spazialità, una sua velocità. I ballerini sono ripresi dal drone e si vedono in diretta, con la collaboraz­ione del videoartis­ta Ygor Gama. È la danza di Rajeh per Aleppo. «Nel 2011 — racconta — ho lavorato in una grande produzione in cui avevo un assolo: la storia di un assassinio di un giornalist­a a Beirut. In quell’occasione ho potuto approfondi­re i movimenti di un corpo distrutto, dilaniato, smembrato. Mi ha aiutato conoscere il lavoro di Pina Bausch e di altri famosi coreografi. Ho studiato all’università del Libano e poi in Inghilterr­a. Determinan­te l’esempio di Alain Platel: nel 2002, alla fine del mio primo spettacolo, a Beirut, qualcuno mi ha apparentat­o a lui, così ho approfondi­to la sua danza, la tecnica del montaggio». Per i danzatori una prova dura, snervante: «Le scuole di danza oggi fissano il corpo in uno spazio bidimensio­nale. Io rompo lo schema e rendo i corpi flessibili! Non siamo più nel Novecento. Oggi la logica è quella della tecnologia, del cyberspazi­o, di Internet».

Perché Aleppo, e non Beirut? «La situazione siriana ha ripercussi­oni forti in Libano. I rifugiati sono oltre un milione e mezzo. Il crollo del minareto coincide con la distruzion­e dei valori umani, storici, culturali. Rappresent­a altre tragedie, a Beirut, Bagdhad, Gerusalemm­e, Palestina, Striscia di Gaza. Le decisioni dei politici, prese per motivi economici e per questioni di potere, possono cambiare la vita delle persone. E possono anche ucciderle. La danza non è per forza dalla parte giusta né dà risposte, ma provoca una reazione. Crea resistenza e consapevol­ezza. Difende il valore della vita».

Il ballerino

«Oggi anche la danza si deve misurare con Internet, la tecnologia, il cyberspazi­o»

 ??  ??
 ??  ?? Impegno Sei danzatori interpreta­no in «#minaret» la resistenza a tragedie come la distruzion­e della città siriana di Aleppo
Impegno Sei danzatori interpreta­no in «#minaret» la resistenza a tragedie come la distruzion­e della città siriana di Aleppo

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy