«Dream», quando l’arte si fa sogno
Al Chiostro del Bramante una mostra con opere visionarie di alcuni protagonisti del contemporaneo: Bill Viola, Mario Merz, Christian Boltanski, Anish Kapoor, Anselm Kiefer, Luigi Ontani, Ettore Spalletti
Si chiude con un vortice di desideri, paure esorcizzate e fantasie recondite la trilogia del Chiostro del Bramante, ideata e curata da Danilo Eccher, in cui l’arte contemporanea ha voluto toccare le più intime emozioni dell’uomo.
Dopo Love, dedicata nel 2016 al più profondo e schizofrenico dei sentimenti — l’amore — ed Enjoy, che nel 2017 ha esplorato l’«arte» del gioco, ora tocca a Dream (fino al 5 maggio), un’esposizione in cui l’indagine artistica si lancia oltre i confini della coscienza per provare ad atterrare nel limbo senza regole del sogno.
Venti artisti, e altrettante opere, per svelare di che materia sono fatti i sogni. E affondare in una parata anarchica di forme, materiali e visioni tanto familiari quanto indecifrabili, per un percorso espositivo che si sviluppa tra tappe, passaggi, soste e ripartenze: dall’immersione nella natura di Alexandra Kehayoglou al confronto avvolgente con i suoni di Ryoji Ikeda, dall’evocazione di memorie personali e collettive di Bill Viola all’incontro con la notte di Tastuo Miyajima, fino alla luce totale di James Turrell.
Il tema del sogno è affrontato come elemento di riflessione, porta d’accesso pubblica allo spazio intimo dell’anima. Una sorta di barca di Caronte che naviga tra le correnti dell’arte e quelle private dello spirito. E prima di intraprendere il viaggio ci si dota di un’inedita audio-guida, «Le voci del sogno», in cui non si ascoltano didascaliche spiegazioni delle opere, ma i quattordici racconti che le accompagnano, composti per l’occasione dallo scrittore Ivan Cotroneo e recitati da un cast di attori che riunisce da Valeria Solarino ad Alessandro Preziosi, da Valentina Cervi a Cristiana Capotondi. In mostra si contano moltissime opere site-specific e un ciclo di lavori già noti ma ripensati appositamente per abitare le architetture rinascimentali di Donato Bramante. Come Laura Asia di Jaume Plensa (2015), che all’ingresso accoglie i visitatori con due monumentali sculture di volti dagli occhi chiusi. Si guardano senza vedersi, collocate una di fronte all’altra, come statue di antichi templi sacri, come imponenti traghettatrici nel mondo dei sogni.
Poi s’incontra l’immagine enigmatica dell’uomo disteso sotto uno sconfinato cielo stellato, firmata da Anselm Kiefer, i fasci di sterpi di Mario Merz, la bussola incastonata nella sabbia di Giovanni Anselmo e le ombre danzanti di Christian Boltanski. Oscura è la creatura intrecciata di Kate MccGwire, mentre sono lievi gli indumenti di seta trafitti da innumerevoli spilli e ricordi di Doris Salcedo.
I sogni sono fatti di cenere e riso per Wolfgang Laib, di nobili alabastri secondo Anish Kapoor, e infine d’oro per Tsuyoshi Tane che illumina i visitatori con la sua spettacolare tenda di pepite. È questa, a due giorni dall’inaugurazione, l’opera più fotografata di Dream (insieme all’ipnotica stanza in bianco e nero creata da Peter Kogler) che si annuncia come l’ennesimo successo social della trilogia del Bramante.
Meno pop ma comunque di grande impatto emotivo l’albero sradicato di Henrick Håkansson, primordiale come la scultura in ferro, legno e ossa di Claudio Costa, e come la soffice caverna di lana e pitture rupestri di Alexandra Kehayoglou.
Selfie-mania
Tra le più fotografate, l’opera dorata di Tsuyoshi Tane e la stanza di Kogler
Infine, le delicate armonie di Ettore Spalletti e il letto pluridimensionale di Luigi Ontani. Per una mostra dove i sogni si fanno rigorosamente a occhi aperti.