Corriere della Sera (Roma)

Il cantautore festeggia 50 anni di carriera con il nuovo tour «Al Centro», da venerdì 19 per tre date al Palalottom­atica Claudio Baglioni

- Album Claudio Baglioni (67 anni) ha venduto sessanta milioni di dischi (foto Angelo Trani) Sandra Cesarale

«Suonare “in casa” è un’emozione per la quale è impossibil­e trovare gli aggettivi giusti», racconta Claudio Baglioni a una settimana dal debutto romano di «Al Centro»: dal 19 al 21 ottobre al Palalottom­atica.

Torna sul palco dopo il tour con Morandi e il Festival di Sanremo che bisserà nel 2019.

«Gianni era già una star quando io ero ancora un ragazzino. Dividere il palco con lui è stato bello, avvincente e anche divertente. Pochissimi tengono il palco come lui. E non solo in Italia. Ogni sera era un crescendo, sia nella sintonia tra noi, che nell’entusiasmo del pubblico. Ma anche una sfida all’ultimo acuto e all’applauso più

scrosciant­e. Riuscire a rubare la scena a Gianni è veramente impresa da Capitani Coraggiosi». E Sanremo?

«È l’appuntamen­to televisivo più importante del Paese. Fa numeri da finale dei Mondiali. E anche di più. Roba da far tremare i polsi anche ai più navigati e disincanta­ti. Altro che New York: è Sanremo la città che non dorme mai. Non durante il Festival, almeno. E tutti — dal più “piccolo dei piccoli” al più “grande dei grandi” — mi hanno insegnato qualcosa che non dimentiche­rò. È grazie a loro, se siamo riusciti a fare quello che abbiamo fatto. Ed è grazie a loro se, quest’anno, affronterò la “tempesta perfetta” con animo più consapevol­e e ancora più determinat­o». Ancora un palco al centro della scena. Perché?

«Per due motivi, su tutti. Il primo è che le distanze tra artista e pubblico si riducono. Questo significa che tutti vedono molto meglio, e — cosa ancora più im- portante — che tutti sentono molto meglio. La seconda ragione riguarda la qualità dello spazio scenico. La scena è molto più grande e, soprattutt­o, può essere modulare e può assumere forme diverse. Il palco smette di essere una pedana per ospitare artisti, strumenti e attrezzatu­re e diventa parte integrante dello spettacolo».

Dal ’68 a oggi, festeggia cinquant’anni di carriera ma la musica è cambiata...

«Direi che siamo cambiati insieme. Lei ha cambiato me. Non solo all’inizio, quando cercavo la mia dimensione. Ma anche lungo tutto il mio percorso personale e profession­ale. E io ho cercato di cambiare un pochino anche lei — parlo della musica popolare nella nostra lingua — provando, sia nei dischi che nei live, a fondere linguaggi diversi, per crearne uno il più possibile personale. Qualcosa di simile a quello che accadrà sul palco di “Al Centro”, visto che lo spettacolo nasce proprio dalla fusione di linguaggi e arti diverse che si mescoleran­no alla lingua principale, la musica». Come nascono le sue idee?

«Non so da dove arrivino, né perché arrivino. Non l’ho mai capito. E, a un certo punto della mia vita, ho smesso di chiedermel­o. Non volevo che le idee si sentissero spiate, si irritasser­o e la smettesser­o di bussare alla mia porta. Meglio non rischiare. Quello che so è che – come diceva Picasso – “l’ispirazion­e esiste ma ti deve trovare al lavoro”. E, dunque, cerco di farmi trovare il più pronto possibile. E ho imparato anche che l’ispirazion­e è solo un attimo: al quale segue un lungo e faticoso lavoro. “Un per cento ispirazion­e – come diceva Edison, a proposito del genio – 99 per cento traspirazi­one”,

vale a dire sudore. Aveva ragione. L’ispirazion­e è la punta dell’iceberg. Far emergere il resto è tutt’altro che facile».

Vent’anni fa i suoi concerti aprirono per la prima volta alla musica tutto l’Olimpico. Che ricordo ha?

«Straordina­rio. La prima volta dello Stadio Olimpico con il palco sul prato (una specie di stella polare, lunga 90 metri e larga 40) e tutto il pubblico intorno, come per un grande derby. Due incredi-

bili “tutto esaurito” uno dopo l’altro, per un record di presenze tutt’ora imbattuto e ascolti sorprenden­ti per la diretta tv. Indimentic­abile». Un live romano a cui tiene?

«Difficile scegliere. Non so: forse quello del 1982, davanti a una Piazza di Siena gremita fino all’inverosimi­le. Era un bellissima serata di una straordina­ria ottobrata romana, e suonavamo davanti a più di 150mila persone. Fu il concerto che inaugurò la stagione dei grandi raduni di massa per la musica nel nostro Paese, accompagna­to da un grido da stadio — Alè-oò — che divenne anche il titolo del doppio album live che registramm­o quella sera». Ritornerà a Roma quest’estate, al Circo Massimo?

«Ne dubito. Dopo questa prima parte di “Al Centro”, infatti, c’è il Festival di Sanremo – che non è esattament­e un impegno da poco, considerat­i anche i risultati dello scorso anno. Subito dopo comincia la seconda parte del tour, che andrà avanti fino a fine aprile. A quel punto, dovrò riprendere a lavorare al nuovo album di inediti, che ho dovuto “mettere in pausa”. Non me ne voglia la mia città, ma temo che dovrò saltare un giro».

Verdone in una lettera a Roma ha scritto: “Sono incazzato nero con coloro che ti hanno trattato male in questi ultimi trent’anni”. È d’accordo?

«Mi addolora se qualcuno le manca di rispetto o la ferisce. Ma so anche che lei è più forte dei nostri limiti e delle nostre mancanze. Non lo dico io: lo dice la Storia. Se la chiamano Città Eterna, un motivo ci sarà, no?»

Con O’scia’ ha portato in primo piano il tema dell’immigrazio­ne. E adesso?

«Il presente è difficile. Molto. Sia per chi cerca un futuro in Europa, sia per chi – in Europa – non vuole veder compromess­o il proprio. Non credo, però, che replicare l’esperienza di O’scia’ possa servire. Non perché non sia stata importante e non abbia avuto valore. Al contrario. Il punto è che, nel 2003, quando abbiamo iniziato, si trattava di accendere i riflettori su un fenomeno – l’emergenza immigrazio­ne – che pochi conoscevan­o e pochissimi volevano conoscere. Oggi il problema è sotto gli occhi di tutti. Il ruolo della musica è finito. Ora tocca alla politica. Spetta a lei trovare soluzioni».

❞ Roma Mi addolora se qualcuno le manca di rispetto o la ferisce. Ma so che lei è più forte dei nostri limiti

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