Paolo Rossi, un re anarchico tra i fuorilegge
Paolo Rossi alla Sala Umberto con il nuovo spettacolo ispirato all’amato Molière. Racconta: ci muoviamo sul crinale che separa l’attore dal suo personaggio
Non va per il sottile, Paolo Rossi. Arguto e diretto, infila sentenze in ogni frase come a piene mani attinge, lasciandosene conquistare, al repertorio dell’amato Molière. Alla Sala Umberto, porta in scena da domani al 28 ottobre Il re anarchico e i fuorilegge di Versailles, scritto da Emilio Russo e Georgia Rossi, con la sua regia.
«Uno spettacolo teatrale stranamente dal vivo» esordisce. E spiega: «Il mio è un teatro all’improvviso, che non è una dote ma un metodo di lavoro, estemporaneo e un po’ stralunato, appartenente anche ad altri campi artistici. Penso alla commedia dell’arte, al jazz, all’arte contemporanea. Con la mia compagnia siamo in una fase ancora bellissima, nel pieno brivido del processo creati-
vo, aspettando di vedere come va a finire...E non è un modo per ipotecare il ritorno a Roma. Se un critico ci recensisce, è come se avesse visto un diverso spettacolo. Leggendolo ci domandiamo, di cosa è stato spettatore?».
Il potere e i «fuorilegge», che provano a contrastarlo. Il teatro e la vita. Difficile mettere in ordine una trama: «Tutto nasce da un sogno — racconta l’interprete —. Io che cerco di allestire uno spettacolo, fra inciampi e scatti in avanti. A Milano c’è la leggenda che nei teatri chiusi, di notte, prendano vita personaggi che si mettono a provare testi. Io ho dormito veramente in un palcoscenico la notte! Ma è nel mio letto, nella mia casa, che mi è nata l’ispirazione».
Prosegue: «Nel Re anarchico ci muoviamo sul crinale che separa l’attore, dal personaggio da lui interpretato, dalla persona che veramente è. Borderline come Molière, che giocava al confine di questa triade. E intanto ci prepariamo ad andare a Versailles». Che è poi la metafora del regime. Il potere detestato ma mirabolante. «Il ministero della Cultura!» sottolinea Paolo Rossi. Fosse lui, a entrare da quella porta, con quali norme governerebbe l’organo supremo? «Lo gestirei con le regole del caos — torna a provocare —. Se dovessi perder tempo a trattare la politica vera, farei teatro civile, ma il mio è un intento diverso. Diciamo pure incivile».
In tv però, ha accettato su Nove di parlare di un politico vero, Matteo Salvini. Rossi, sferzante: «Preferisco non dir niente a proposito dei colleghi. Non è deontologicamente corretto». Quando si è sul punto di carpirgli una confessione, sfugge, come un’anguilla. Domanda: per «spettacolo stranamente dal vivo» a proposito del Re anarchico e i fuorilegge di Versailles intende che in giro c’è un’aria stantìa? Rossi: «Con 240 date all’anno è difficile avere una sera libera per andarmi a vedere altro, nei palcoscenici. Ho impegni, casa, figli ...». Cosa pensa invece dei drammaturghi contemporanei? «Io non parlo mai dei politici».
Meglio volgere lo sguardo al passato. Questa è la quinta tappa del lavoro attorno al commediografo francese del Seicento, prodotto dal Teatro Menotti di Milano per sette attori e le musiche dal vivo di Emanuele Dell’Aquila e Alex Orciari. Almeno la televisione si salva. Agli occhi di Paolo Rossi il piccolo schermo vive una sorta di riabilitazione. «I progressi tecnologici — riflette — stanno creando nuove possibilità. La tv si presenta come un media nuovo. Ha bisogno di testi e di storie. Non è più nettamente separata dal cinema. In nuovo quadro non escludo la possibilità di un ritorno».
La televisione? In nuovo quadro non escludo la possibilità di un ritorno
In scena
Il testo è scritto da Emilio Russo e Georgia Rossi, la regia è del comico milanese.
Si replica fino al 28 ottobre