Muore, medici salvi: scatta la prescrizione
Dragana Zivanovic è deceduta nel 2010 al Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina dopo un intervento Non sono bastati otto anni per celebrare il processo. L’ospedale ha pagato un milione di risarcimento
«Dov’è la giustizia nel vostro complicato Paese?» Se lo chie- de Yazna Zivanovic sorella della donna morta al Fatebenefra- telli nel 2010. Giovedì 11 ottobre il processo ai medici che, con le loro negligenze, hanno lasciato morire sua sorella si è prescritto. Ci sono voluti sei anni e mezzo per fissare l’udienza preliminare.
L’ospedale, intanto, ha versato un milione di euro di risarcimento al suo compagno eppure cinque su sei dei medici che ebbero in cura la donna non saranno giudicati. La Zivanovic chiede di riaprire il ca- so: «I medici - dice - avevano un pregiudizio nei suoi con- fronti. Fu omicidio volontario». La testimonianza choc del compagno di Dragana.
«Dov’è la giustizia nel vostro complicato Paese?». Se lo chiede Yazna Zivanovic col suo accento ormai spurio. Nata a Belgrado, residente a Parigi, ospite a Roma, minuta ma elegante, Yazna sceglie parole semplici temendo di essere fraintesa, convinta che tutto, qui, sia ambiguo e interpretabile. Giovedì 11 ottobre è stato il giorno di una sua personale sconfitta che, forse, è anche la nostra. Il processo ai medici che, con le loro negligenze, hanno lasciato morire sua sorella è prescritto. Otto anni dopo l’omicidio colposo finisce in archivio.
Sua sorella Dragana, il sorriso triste di un’esule e gli occhi castani e materni, un bambino che allora aveva quattro anni, è morta al Fatebenefratelli nel 2010. Era un medico con la passione del proprio lavoro e, a soli 40 anni, era diventata ricercatrice al laboratorio «Servier». Una colica degenerata in setticemia l’ha uccisa. Prima, il malfunzionamento di un sondino che durante l’operazione ha lasciato in circolo liquidi infetti. Poi, la sottovalutazione dell’infezione che ha portato all’arresto circolatorio. L’ospedale ha versato un milione di euro di risarcimento al suo compagno e al figlio. Eppure, anche di fronte a un conclamato episodio di malasanità, la giustizia sembra destinata a lla resa.
«Dragana è stata uccisa — dice Yazna —. Voglio nuove indagini e un altro processo». Tempo fa lo ha gridato in aula, rivolta al giudice. Il presidente ha disposto la sua identificazione: «Sono stata accompagnata fuori dai carabinieri, come fossi io l’imputato», racconta. «É come il processo di Kafka: gli imputati giudicano e le vittime subiscono».
Ma cosa è accaduto in questi anni? Dragana muore nel 2010, ma l’inchiesta decolla solo nel 2014. Nel 2015 la procura arriva ad alcune conclusioni che scindono l’inchiesta in due. Da un lato ci sono le responsabilità dell’endoscopista che utilizza un sondino difettoso durante l’operazione. E infatti. Ottavio Bassi, questo è il suo nome, viene condannato a 6 mesi nel 2018.
Dall’altro ci sono i cinque medici che non riconoscono quella infezione per cui ora è scattata la prescrizione: Francesco Boni, Carlo Magliocca, Sergio Colizza, Paolo Silli e Antonio Picconi. «La passeranno liscia: è giusto?» si domanda Yazna Zivanovic.
Ma cos’è accaduto dalla conclusione dell’inchiesta nei loro confronti ad ora? Vediamo. Il tribunale fissa la prima udienza a settembre 2015, ma un errore nella notifica fa slittare in avanti la convocazione delle parti. Si arriva a gennaio 2016. Il gup rinvia tutti a giudizio, ma l’udienza successiva è prevista a febbraio 2017. Ancora rinvii e si arriva al 2018. In tempo per la prescrizione.
«Dragana — spiega sua sorella — è stata trascurata per partito preso. Da medico cercava di dialogare con i sanitari ma loro non lo tolleravano, l’accusavano di voler interferire». Nella stessa direzione va anche la testimonianza del compagno di Dragana, Giorgio Germanò che, al processo nei confronti di Bassi, ha descritto il primario come vittima di un pregiudizio nei confronti della paziente, considerata una sorta di rompiscatole: «”Qual è quella paziente che è venuta a darci lezioni in vestaglia?”, disse il primario». Ci sono anche nuove testimonianze che Yazna chiede siano acquisite. Chissà che la giustizia non trovi un varco anche qui, in questo complicato Paese.
La sorella
«Chi ha curato Dragana la passerà liscia: è giusto? Il caso deve essere riaperto»