Crudeli e umane In scena storie dall’Afghanistan
La regia di Bruni e De Capitani da stasera all’Argentina
Afghanistan è un insieme organico di dieci testi di autori diversi, ognuno col proprio linguaggio scenico, per raccontare una lunga storia di 170 anni: si parte dal 1842 e si arriva ai nostri giorni. «Un grande affresco sulle turbolente, sanguinarie vicende che hanno attraversato l’Afghanistan, descritte nei testi commissionati dal Tricycle Theatre ai più interessanti scrittori della scena anglosassone», esordisce Ferdinando Bruni che con Elio De Capitani firma la regia della messinscena al Teatro Argentina dal stasera a domenica.
Un progetto nato a Londra, in una fucina del teatro politico: «Protagonista è il colonialismo inglese, e non solo, in una terra di contesa - interviene De Capitani - e la sagaevento è divisa in due parti: Il grande gioco e Enduring Freedom». Il primo capitolo comprende cinque episodi ambientati tra il 1842 e il 1996, il secondo riguarda i restanti cinque, ambientati fra il 1996 e l’attualità: chi vuole, può vedere entrambi in una sola maratona domenica pomeriggio. Agli autori è stato chiesto di realizzare dei quadri narrativi ispirati alla storia afghana, dando vita a un esperimento di drammaturgia contemporanea basato sulla coesistenza di episodi indipendenti e al tempo stesso complementari: poetiche tragiche, crudeli, profondamente umane.
«Abbiamo da sempre un occhio particolarmente attento alla scena contemporanea continua Bruni - siamo infatti convinti che il teatro sia il mezzo più efficace per raccontare il presente mettendolo in comune: ci si siede in platea e si condivide con gli attori in palcoscenico degli argomenti che ci riguardano». Aggiunge De Capitani: «In questo caso si parla dei non facili rapporti tra Occidente e Oriente, è una metafora degli errori, purtroppo sempre gli stessi nei
❞ Protagonista è il colonialismo inglese, e non solo, in una terra di contesa
Questo spettacolo è una metafora degli orrori di politica e diplomazia
secoli, commessi dalla politica e dalla diplomazia internazionale per ignoranza, arroganza, non conoscenza delle civiltà che si vanno a colonizzare. E quindi, poi, il fondamentalismo, il terrorismo attuale». Bruni: «Contestualmente è un panorama sulla scrittura teatrale odierna di stampo civile e la più vitale è proprio quella anglosassone perché è capace di andare dritta al cuore del problema, un’attitudine che latita dalle nostre parti».
Un grande palco quasi vuoto e personaggi che si trovano e si lasciano nello spazio di un sipario aperto. Sullo sfondo scorrono dati e numeri che hanno affollato anni di cronaca: «Gli episodi sono legati da video e immagini - spiega Bruni - In Inghilterra lo spettacolo è stato visto dai militari che sono stati in Afghanistan, da persone che sono state coinvolte nelle vicende rappresentate. Il comandante delle truppe inglesi ha affermato che, se avesse visto lo
spettacolo prima, avrebbe affrontato la questione in modo diverso». De Capitani: «L’arma più pericolosa è l’ignoranza, la mancanza di una preparazione adeguata di chi va in quei luoghi pensando di applicare ricette che possono funzionare altrove». Conclude Bruni: «Da oltre vent’anni sentiamo parlare di Afghanistan. Un paese che ci sembra lontano, in realtà vicinissimo e che ci riguarda».