Ovidio, amori e miti da Botticelli a Joseph Kosuth
Alle Scuderie del Quirinale una mostra con 200 opere, dall’archeologia a Botticelli
L’influenza del grande poeta romano sull’arte attraverso i millenni: questo il tema della mostra «Ovidio. Amori, miti e altre storie», inaugurata ieri alle Scuderie del Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal ministro della Cultura Alberto Bonisoli.
Oltre duecento opere dall’antichità a oggi — sculture, affreschi pompeiani, vasi, rilievi, gemme, codici miniati, quadri tra Rinascimento e Barocco, incursioni contemporanee — per raccontare il sempiterno mito di una delle grandi voci della cultura universale, quella di Ovidio.
La mostra, in occasione del Bimillenario della morte del poeta di Sulmona, curata da Francesca Ghedini, è stata inaugurata ieri alle Scuderie del Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal ministro della Cultura Alberto Bonisoli. Una suggestiva antologia — con alcuni prestiti internazionali, dal Louvre alla National Gallery di Londra — costruita facendo dialogare immagini e parole, quelle parole-idee-archetipo che dal genius di Ovidio giungono fino a noi, eternate anche nel lessico comune. Narciso, Pigmalione, Adone, Ermafrodito o aforismi quali «in amor vince chi fugge»: infinite le declinazioni ovidiane. «Ho ormai compiuto un’opera — ebbe a scrivere il poeta — che non potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore… e il mio nome resterà: indelebile». Profezia avverata anche a distanza di millenni, come dimostra anche la mostra il cui titolo recita Ovidio. Amori, miti e altre storie. Tema principale, e non poteva essere altrimenti, l’Amore con i suoi corollari: eros, seduzione, bellezza...
Tra i prestiti clou, la magnifica Venere «Callipigia» in marmo bianco concessa dal Museo archeologico nazionale di Napoli, partner dell’esposizione, da cui provengono anche eccezionali affreschi al tempo ritrovati a Pompei. E ancora, la Venere pudica di Botticelli dalla Galleria Sabauda, opere di Benvenuto Cellini, Tintoretto, Ribera, Carlo Saraceni, Poussin o Pompeo Batoni, fino all’installazione al neon di Joseph Kosuth che accoglie il visitatore in entrata e che cita i versi del cantore di Sulmona: Quod cupio mecum est («Quel che bramo l’ho in me»).
Tra gli snodi cruciali del percorso, oltre all’Arte di amare, ovviamente le Metamorfosi, fra i testi che hanno maggiormente ispirato gli artisti nei i secoli. E tra le più celebri trasformazioni non poteva mancare quella di Ermafrodito, la cui statua d’epoca romana — tanto famosa quanto splendida — è uno dei prestiti in mostra, concessa da Palazzo Massimo. Infine, parlando della vita di Ovidio — oltre a Bacchi, Narcisi, fanciulle amate, abbandonate e rapite come Arianna e Proserpina, o giovani dai tragici destini tipo Icaro e Meleagro — non poteva mancare colui che al poeta inflisse la pena di uno spietato esilio senza perdono, fino alla morte: l’imperatore Augusto, la cui effige con il capo velato, in veste di Pontefice Massimo, è arrivata dal Museo di Aquileia.