Michael Moore, in Fahrenheit 11/9 il ritratto di Trump
Festa del cinema: il regista incontra il pubblico e parla del nuovo film, «Fahrenheit 11/9»
«Questo paese deve farmi un favore: Be Italy again! Che non significa come vi dicono “prima gli italiani”. Tornate a essere quell’Italia capace di fare le cose con passione. Come ho capito trent’anni fa la prima volta che sono venuto mangiando un pomodoro: è arrivato qui dall’America ma da noi non sa di nulla, voi l’avete reso speciale grazie all’amore». Michael Moore infiamma un’affollatissima Sala Sinopoli dell’Auditorium. Un Incontro ravvicinato, quello di ieri pomeriggio condotto da Corrado Formigli, straripante per durata e entusiasmo. Il regista è alla Festa per la presentazione italiana del nuovo film, il doc Fahrenheit
11/9 (ribaltando il titolo di quello su George W. Bush e l’11 settembre con cui nel 2004 vinse la Palma d’oro a Cannes, Fahrenheit 9/11) in sala da lunedì a mercoledì con Lucky Red e prossimamente su La7.
Una radiografia impietosa dell’ascesa al potere di Donald Trump, quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, eletto il 9 novembre 2016 quando erano in pochissimi (tra cui lo stesso Moore) a scommettere sulla sua vittoria. Il New York Times, ricorda, «il giorno dell’elezione gli dava solo il 15% di possibilità di prevalere». Il doc è il ritratto di un uomo «razzista, sessista e legato alla lobby delle armi», ma anche di una società che non è stata capace di reagire. «Bush e Trump sono due disastri, entrambi sono diventati presidenti pur avendo perso il voto popolare. Gore ebbe mezzo milione di voti in più di Bush, Hillary Clinton addirittura 3 milioni e mezzo in più di Trump. I democratici in questi anni avrebbero dovuto lottare per cambiare l’articolo della nostra costituzione che permette a chi è in minoranza di vincere».
Democratici che, racconta Moore, hanno anche altre re- sponsabilità, a cominciare dal più amato e rimpianto, Barack Obama. «L’ho votato due volte, la prima volta ero così commosso che una lacrima ha macchiato la scheda. Ha fatto cose importanti ma grandi errori». Come quando andò a Flint, la città di Moore, al culmine dello scandalo dell’acqua avvelenata con il piombo provocato da un nuovo acquedotto voluto dal go- vernatore repubblicano e dai suoi finanziatori. «La popolazione si aspettava il suo sostegno. Lui ha detto che l’acqua che aveva fatto ammalare i loro figli era buona. E così ha contribuito alla sconfitta di Hillary in Michigan. In molti non sono andati a votare».
Al trionfo di Trump hanno contribuito anche i media, sostiene. «La stampa e le tv lo hanno amato, per decenni. Era fonte di intrattenimento, si sono innamorati di lui, non l’hanno mai preso sul serio. Anche i comici di sinistra ne hanno fatto una macchietta senza capire quanto fosse pericoloso. Lui è un vero performer». La speranza, a poche settimane dalle elezioni di midterm arriva da giovani, donne e neri. «La maggioranza del paese sono loro, se si registreranno e andranno a votare le cose cambieranno. Se, invece, Trump rivince sarà presidente fino al 2025 e avrà tempo di distruggere tutto».
L’allarme suona anche per l’Italia. «Salvini? Un razzista bigotto, contrario ai matrimoni gay. Non esiste un meccanismo di autocorrezione nelle democrazie, è facile per uno come Trump o Salvini prendere il controllo. Stiamo vivendo le ultime fasi della democrazia come la conosciamo. Al fascismo del XXI secolo non servono svastiche o campi di concentramento. Arriverà con sorriso e uno show tv».