STRISCIONI, QUESTIONE DI MISURA
Le istituzioni calcistiche internazionali hanno prestato grande attenzione ai messaggi «sociali» che possono entrare nel calcio attraverso striscioni, magliette ed esultanze. Una frase come «Gesù salva tutti» non è certo violenta, ma può dispiacere a chi professa un’altra religione o nessuna. Per questo è giusto che ci sia un controllo su quello che entra negli stadi.
Ancor più giusto, però, è che non venga vietato quello che distingue una società libera e salda nei valori dall’autoritarismo che confonde la sicurezza con la miopia. Così quando all’Olimpico non è stata fatta entrare la bandiera con il viso di Federico Aldrovandi - il ragazzo di Ferrara ucciso il 25 settembre 2005 con condanna «per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi» di quattro poliziotti - è stata una sconfitta per il buon senso e per il rispetto. E lo stesso vale per chi voleva ricordare con uno striscione un ragazzo, una promessa dello sport, falciato da un pirata della strada.
Lino, il padre di Federico, alla vigilia aveva detto: «Spero che la bandiera possa entrare perché è un simbolo di pace». Negli stadi hanno trovato posto striscioni a favore del criminale di guerra Arkan e dell’ultrà «Gastone» che uccise Ciro Esposito, sono entrate figurine con Anna Frank con la maglia della Roma e inviti al Vesuvio di fare «pulizia». Ma ha fatto più paura il viso di un ragazzo sulle t-shirt di altri ragazzi che, per entrare allo stadio, sabato avrebbero dovuto togliersele.