Corriere della Sera (Roma)

STRISCIONI, QUESTIONE DI MISURA

- Di Luca Valdiserri

Le istituzion­i calcistich­e internazio­nali hanno prestato grande attenzione ai messaggi «sociali» che possono entrare nel calcio attraverso striscioni, magliette ed esultanze. Una frase come «Gesù salva tutti» non è certo violenta, ma può dispiacere a chi professa un’altra religione o nessuna. Per questo è giusto che ci sia un controllo su quello che entra negli stadi.

Ancor più giusto, però, è che non venga vietato quello che distingue una società libera e salda nei valori dall’autoritari­smo che confonde la sicurezza con la miopia. Così quando all’Olimpico non è stata fatta entrare la bandiera con il viso di Federico Aldrovandi - il ragazzo di Ferrara ucciso il 25 settembre 2005 con condanna «per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi» di quattro poliziotti - è stata una sconfitta per il buon senso e per il rispetto. E lo stesso vale per chi voleva ricordare con uno striscione un ragazzo, una promessa dello sport, falciato da un pirata della strada.

Lino, il padre di Federico, alla vigilia aveva detto: «Spero che la bandiera possa entrare perché è un simbolo di pace». Negli stadi hanno trovato posto striscioni a favore del criminale di guerra Arkan e dell’ultrà «Gastone» che uccise Ciro Esposito, sono entrate figurine con Anna Frank con la maglia della Roma e inviti al Vesuvio di fare «pulizia». Ma ha fatto più paura il viso di un ragazzo sulle t-shirt di altri ragazzi che, per entrare allo stadio, sabato avrebbero dovuto togliersel­e.

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