Live di Ben Harper Una chitarra nel segno del blues
Domani l’autore e musicista californiano ripercorrerà in concerto la lunga carriera partita nella prima metà degli anni Novanta con la sua dirompente band, gli Innocent Criminals
Ben Harper è convinto che «non si può ingannare il blues». È anche per questo che l’autore e musicista, virtuoso della lap steel guitar (un tipo di chitarra che si suona da seduti, appoggiandola alle gambe), da ventisei anni attraversa le polverose strade del blues sia pur concedendosi lunghe «deviazioni» verso funk, reggae, rock. Domani arriverà al Parco della Musica per un concerto che sarà un riassunto del suo quarto di secolo in musica. Sul palco lo accompagneranno Leon Mobley (percussioni), Juan Nelson (basso), Oliver Charles (batteria) e Jason Mozersky (chitarra).
Nella sua lunga carriera (il suo primo album, Pleasure and Pain, l’ha pubblicato con Tom Freund nel ’92) , il ragazzo con la chitarra si è messo alla prova da solo, con i dirompenti Innocent Criminals, con le leggende Blind Boys of Alabama. Il suo nuovo album, No Mercy In This Land, è anche il secondo progetto in studio con l’armonicista Charlie Musselwhite, un autentico gigante della «musica del diavolo». «L’ho incontrato per la prima volta nel 1993 — ha ricordato Ben in un’intervista — poi nel ’97 ci ritrovammo in uno studio di registrazione a suonare insieme nell’album di John Lee Hooker. Ci sono voluti altri 15 anni per incidere il nostro primo disco insieme. Ho dovuto trovare la mia strada per meritarmi di sedere allo stesso tavolo con Charlie». Quell’album, pubblicato nel 2013 si intitolava Get Up! e permise a Harper di vincere uno dei tre Grammy award. «Con No Mercy In This Land sono sicuro che Charlie e io abbiamo superato il primo album fatto insieme — ha detto Harper — Non è da me dirlo, però mi sento più forte , so quanto ho dato al disco, non avrei potuto offrire di più, non avrei potuto andare più in alto. E, in questo caso, non mi è proprio rimasto più niente da dare».
Harper viene descritto come una persona schiva e solitaria, taciturna e poco incline a dare di sé un’immagine accattivante. Qualche anno fa venne a Roma in concerto e per promuovere uno dei suoi album. Con lui c’era l’allora moglie Laura Dern, la paleontologa di Jurassic Park. Lui si presentò all’appuntamento con un’ora di ritardo e non fu nemmeno troppo loquace. Il live però fu spettacolare, confermando che il songwriter californiano (compirà 49 anni domenica) è uno degli autori e performer più incisivi e influenti, capace non soltanto di trascendere i generi musicali ma anche di saper parlare di temi personali così come di argomenti politici. «La mia visone ideale di una canzone è che parli del privato e del politico», ha raccontato Harper che diventa sempre sfuggente quando le domande esulano dalla musica.
Rolling Stone lo ha definito «un artista capace di creare un genere unico e squisitamente delicato nell’essere rock&roll». «La musica — ha spiegato Harper — non deve essere sempre ad alto volume, urlata... ma dovrebbe essere sempre autentica e soprattutto dovrebbe sempre valere la pena di esplorarla».
Esordi
Il suo primo album, «Pleasure and Pain», l’ha pubblicato con Tom Freund nel ’92