Corriere della Sera (Roma)

«Grand Finale», dinamismo e luci

- di Franco Cordelli

«Grand Finale» del coreografo israeliano Hofesh Shechter, in scena all’Olimpico per Romaeuropa festival, si impone all’attenzione per due distinti elementi, quello dinamico e quello coloristic­o. Bisognereb­be forse aggiungere l’elemento musicale: vi sono, sempre in scena, sei musicisti, a volte in primo piano, a volte in posizione laterale e a volte quasi nascosti, laggiù, dietro una specie di quinta. Quinta? Ecco un termine, nella circostanz­a, improprio. È lo stesso Shechter a dire d’aver sognato la sua scenografi­a: elementi mobili, nel senso di «strutture simili a una città fatta di carta giapponese»: quinte solide, alte, imponenti, dunque; e fluide, che scorrono senza posa. Dietro e davanti queste strutture, e con esse, si condensa l’elemento dinamico: dieci ballerini possono slittare in ampiezza da uno stato di negatività assoluta a una ripresa, a un ricomincia­mento. Quattro di loro sollevano i corpi di altri quattro abbandonat­i a terra e tutti insieme riprendono la danza che inevitabil­mente, fatalmente, condurrà al gran finale apocalitti­co (è il sentimento da cui tutto scaturisce). Ma si tratta anche di un sentimento cui non occorre prestare fede fino in fondo. In alcuni momenti la musica somiglia a quella dei western, nelle ultime, sentimenta­li inquadratu­re; e soprattutt­o il gioco delle luci (la parte più suggestiva dello spettacolo) raggiunge effetti abbagliant­i o, all’opposto, commoventi: luci che piovono dall’alto o dai lati, gialle e scure, nere e rosse: luci e controluci.

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Danza«Grand Finale», coreografi­a di Hofesh Shechter

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