«Diario di tonnara», il mare riemerge dagli archivi Luce
Alla Festa di Roma il doc di Giovanni Zoppeddu sulle vite dei pescatori
Ne sono rimaste tre, in Sardegna. Nessuna delle ottantotto tonnare siciliane, invece, è più in funzione. Come quella di Bonagia, piccolo borgo vicino a Trapani, oggi trasformata in albergo, dove il regista Giovanni Zoppeddu, sardo ma da anni residente in Sicilia, è capitato per caso. «Sono stato trascinato da quel fascino senza tempo. Conoscevo solo la tonnara di Favignana, ho iniziato a fare ricerche sulle comunità dei pescatori. Un mestiere che risale a duemila anni fa, con riti e abitudini travolti da un vero terremoto antropologico. Oggi la pesca del tonno è industriale, quei volti scavati dalla fatica, quelle comunità divise tra pragmatismo del lavoro e tensione al sacro appartengono al passato».
A fargli da guida un libro, Diario di tonnara (stesso titolo del documentario prodotto dal Luce Cinecittà che lo manderà in sala nel 2019). Lo ha scritto Ninni Ravazza, anche voce narrante nel doc costruito da Zoppeddu con il montaggio di Luca Onorati attorno alle immagini di repertorio di autori come De Seta, Folco Quilici (con cui il regista ha lavorato), Alliata. «Uno sguardo cinematografico profondo e poetico capace di restituire la magia della tonnara che mi ha ispirato, aiutandomi a raccontare quegli uomini come personaggi mitologici — racconta il regista —. Un mondo popolato da eroi e dalle tradizioni millenarie, tramandato di padre in figlio». Tra i protagonisti, Momo Solina, rais della tonnara di Bonagia, suo nipote Pio, Nino Castiglione, imprenditore trapanese, Luigi Biggio, rais della tonnara di Carloforte che guida da oltre vent’anni.
Testimoni, precisa Ravazza, di una cultura millenaria. «Per fare un esempio, quando i vecchi marinai sentivano che si avvicinava una tempesta dicevano: “sta arrivando una boria”, la stessa borea di cui parla Omero. Il tonno per loro era come il bufalo degli indiani d’America, un animale che rispettavano e a cui si appellavano con deferenza, chiedendogli perdono prima della caccia».