Benvenuti-Fresi, Don Chisciotte a Tor Bella Monaca
Il capolavoro spagnolo da stasera nel teatro in periferia con la coppia Benvenuti-Fresi (Sancho Panza): «Una sfida all’appiattimento emotivo e culturale di questi anni»
Due in un garage. In abiti contemporanei, ma rivestiti di un’armatura stracciona, realizzata con materiali di recupero. Sono Don Chisciotte e Sancho Panza, interpretati da Alessandro Benvenuti e Stefano Fresi in
Don Chisci@tte, da stasera al Teatro Tor Bella Monaca, con la regia di Davide Iodice.
«Davide ha anche adattato il testo di Nunzio Caponio, che con quel nome sembra lui stesso appartenere al romanzo — sorride Benvenuti —. Vivono nel sottosuolo di un condominio, e da lì progettano una battaglia contro i mulini a vento intrecciando fra loro un rapporto che è una novità, rispetto al classico. Con Fresi ci siamo conosciuti sul set
della serie tv I delitti del barlume, e sì, anche fisicamente ricordiamo la coppia di Cervantes. Non solo fisicamente: lui ha una forte autoironia, io, come dicono mia moglie e le mie tre figlie, sono quasi un disadattato a spasso per il mondo. Ho una specie di malattia».
Chi sono i due nel box? «Il mio personaggio, Don Chisciotte, è stato un ragioniere nella ditta di un parente, e ora si presenta come un anziano blogger, patetico come lo sono i sessantenni che d’improvviso diventano social. Sancho studia musica e aspira a sfondare nello spettacolo. Entrambi lanciano una sfida all’appiattimento emotivo e culturale di questi anni, inseguendo valori più alti. In questo senso il testo è politico. Ma non sono due eroi: Sancho è un praticone con l’hobby della musica, io il portatore di una mentalità progressista che lo spinge a lottare contro le ingiustizie del mondo. Siamo la pancia e il cervello di questo nostro Paese».
Da anni Benvenuti è direttore per la parte artistica con Filippo D’Alessio di quel teatro di frontiera che è la sala Tor Bella Monaca: «Gli unici mulini a vento contro i quali ho dovuto lottare sono le pastoie della burocrazia, specie nel periodo in cui la sala è rimasta chiusa per un anno. Mi considero un operatore culturale fin dagli anni 70 dei Giancattivi. E questa è una delle esperienze più sensate e appaganti mai fatte! Il terreno del quartiere è fertilissimo, ed è vero lo slogan che ci rappresenta: “Teatro dell’affetto e non dell’effetto”. Il pubblico vede un senso nel nostro lavoro, e lo appoggia: c’è stata una sollevazione popolare quando il teatro è rimasto inattivo. E difende accanitamente certi valori. Non a caso i partiti si sono precipitati da noi in campagna elettorale. Fallimenti? Abbiamo difficoltà ad agganciare gli studenti dell’università di Tor Vergata, ma Filippo sta lavorando sodo per creare complicità».
Dall’80 è a Roma, Don Chisciotte fra i Don Chisciotte: «È una città con problemi irrisolvibili, molto complicata. Non facciamo una bella figura al confronto con Praga o Madrid. La responsabilità? Di tutti. Dell’operatore Ama che non vede che il cassonetto ha il pedale rotto, e del cittadino che invece di raggiungere il contenitore funzionante più vicino se ne infischia e butta a terra». Nato come uno dei teatro di cintura nel 2005, il Tor Bella Monaca ha attraversato diverse amministrazioni: «Fortunatamente non ho mai dovuto indossare i panni del Don Chisciotte: io non sono di Destra, appartengo alla Sinistra com’era una volta, ma ho ricevuto sempre il rispetto di tutti i colori politici. Ci viene riconosciuta l’esperienza da sempre a favore della comunità. Serviamo ogni fazione. Il teatro è di tutti! Guai farne un posto per pochi».
Protagonista Con Stefano, anche fisicamente, ma non solo fisicamente, ricordiamo la coppia di Cervantes
Ostacoli «Gli unici mulini a vento contro cui ho dovuto lottare sono le pastoie della burocrazia, soprattutto quando la sala è rimasta chiusa»