Atac, sfida sul referendum
Quorum, soglia a 700mila votanti. Radicali: il mondo della cultura ci aiuti
Referendum Atac, è sfida. Si avvicina la data per la consultazione popolare per la messa a gara del servizio di trasporto pubblico e i Radicali, promotori dell’iniziativa, lanciano l’appello al mondo della cultura e dello spettacolo: «Aiutateci». Il quorum da raggiungere per sancire la validità è del 33 per cento degli aventi diritto: dovranno votare almeno 700 mila romani.
Domenica 11 novembre a Roma si vota per il referendum sull’Atac. I quesiti sono due, ma in sostanza i romani sono chiamati alle urne per dire come la pensano sul trasporto pubblico della Capitale: se credono che debba essere gestito in regime di monopolio, come fa Atac adesso, dovranno votare «No». Se invece reputano che il servizio debba essere messo a gara e affidato al più meritevole, azienda pubblica o privata che sia, dovranno votare «Sì». Il referendum è consultivo, vale a dire che la giunta Raggi non è obbligata a seguirne l’esito. E questo - unito al fatto che il giorno prima del voto si saprà se la sindaca, condannata o meno per falso, si dimetterà amplifica il senso politico di una consultazione interpretata dai più come segnale della città verso chi la amministra.
Il che ha fin da subito spaccato Roma in due. C’è chi - come Raggi e il M5S, ma anche la destra, la sinistra più radicale e i sindacati Cgil e Cislspinge per il «No» facendo leva sull’esperienza dei privati nei trasporti della Capitale, cioè la Roma Tpl che tra disagi e difficoltà finanziarie assortite gestisce a fatica il servizio nelle periferie. E chi - come i promotori Radicali e, seppure con qualche dissenso interno, anche il Pd - ha deciso di sposare la causa del «Sì» motivandolo con il tormentatissimo servizio cittadino erogato da Atac, tra bus che vanno a fuoco (più di 20 nel 2018), scale mobili che collassano e produzione chilometrica sempre più in calo rispetto al contratto di servizio Atac-Comune. L’obiettivo dei Radicali è proprio quello (almeno) di irradiare un segnale forte e chiaro convogliando alle urne il maggior numero di cittadini possibile, nonostante il quorum del 33% fissato dalla sindaca: sebbene il Campidoglio abbia già assorbito il nuovo statuto che, per i referendum, non prevede quorum come da diktat M5S, la tornata di domenica seguirà le vecchie regole in vigore al momento della presentazione dei quesiti che una soglia la prevedono. I Radicali si lamentano per la «scarsa informazione» da parte del Comune e meditano sul ricorso. Ma tant’è: dato che i romani aventi diritto sono 2.086.430, il quorum per validare la consultazione è di 688.522 voti. Centrarlo è impresa per niente facile, per capirlo basta confrontare con i numeri che hanno fatto sindaca la Raggi nel 2016 - circa 450 mila al primo turno -, successo allora accolto come un plebiscito. Non a caso, per smontare una consultazione «scomoda», Raggi ha detto in più occasioni che per il vero referendum «i romani si sono
I fronti
Contrari Raggi, M5S, destra e sinistra.
Il Pd romano d’accordo con i promotori
espressi due anni fa». E che «Atac deve rimanere pubblica», concetto che forse non risponde ai quesiti, ma che dà il senso delle due visioni contrapposte. Non si tratta, infatti, di votare per trasformare in azienda privata la municipalizzata dei trasporti, ma di valutare se mettere il servizio a gara consentendo a chiunque - anche all’Atac - di partecipare. Di aprire alla liberalizzazione o meno, insomma. Il problema è che attualmente l’Atac non può gareggiare: sull’orlo del default a causa degli 1,4 miliardi di debito, ha intrapreso la via del concordato preventivo in tribunale grazie alla sponda dell’azionista unico (Roma Capitale, appunto) che gli ha allungato fino al 2021 in contratto di servizio.