CIMITERI, L’ESEMPIO PER LA CITTÀ
Ieri sono andato al cimitero Flaminio, quello che noi romani chiamiamo Prima Porta, per una visita a mio padre. Una visita che ogni volta (sono quasi sette anni che vado con cadenza mensile) diventa sempre più penosa perché al dolore per i ricordi della mia vita si aggiunge il dolore per il progressivo degrado del cimitero. In questo periodo ho assistito al lento declino di quest’area considerata un «capolavoro di architettura cimiteriale contemporanea», come si legge nel sito dell’Ama. Diventata, invece, un «capolavoro» di sporcizia, erba altissima che rende le tombe irraggiungibili, fontanelle a secco, strade interne (37 chilometri) devastate da crateri, furti di oggetti. Insomma, un posto da evitare. Immaginate, quindi, lo stato d’animo nell’entrare ieri nel cimitero Flaminio. E, invece, ho trovato a sorpresa un’area accogliente con aiuole curate e colorate, con strade pulite (anche se i crateri sono rimasti), con fontanelle riparate e senza l’effetto savana. La stessa situazione è stata riscontrata al Verano dalla collega Maria Rosaria Spadaccino. Nulla di eccezionale, Roma avrebbe bisogno di ben altri interventi. Le strade sono piene di buche, alberi caduti e montagne di rifiuti, gli autobus si incendiano. Eppure entrare in un cimitero «normale» mi ha dato una speranza, quella che Roma possa tornare la città più bella del mondo. Servirebbe una rivoluzione, certo: nel caso, per farla, si può prendere esempio da quanto fatto nei cimiteri.