«L’albero in testa, ora il rogo: Roma così mi fa paura»
L’uomo ricoverato da due giorni. Le mamme scappate con le culle
Adolfo Allegrini, 63 anni, è uno dei 400 ricoverati evacuati: «Giovedì mi è crollato addosso un albero. Ora l’incendio: adesso ho paura di muovermi a Roma».
Adolfo Allegrini, 63 anni, ginecologo, era ricoverato al San Pietro dopo l’incidente di giovedì sera. Durante la bufera di vento un albero gli è crollato addosso sulla Tangenziale provocandogli – rallenta il racconto con l’aria di chi fruga nella memoria – tre costole incrinate e un ematoma subdurale intracranico. Era già una vittima scampata e mai, «mai», poteva immaginarsi scenari peggiori. La luce d’emergenza che comincia a pulsare sugli occhi. L’allarme che, certo, suggerisce di alzarsi e prendere una qualche iniziativa: ma quale, senza nessuna informazione? E infine quell’odore, quella tipica sensazione di bruciato che brucia la gola e che, purtroppo, evoca una sola circostanza: un incendio, sì, da qualche parte nell’ospedale – ha pensato – è scoppiato un incendio.
Adolfo sapeva che la giornata, giovedì, sarebbe stata infernale e così, previdente, è uscito di casa prima: «Avevo visto le previsioni, tutti sappiamo che Roma è invivibile col maltempo, così ho inforcato la mia Vespa con anticipo: vado piano, mi sono detto, e arrivo al lavoro tranquillo». Ma l’incidente l’aspettava al ritorno: «Le 20,30, buio, pioggia, poi quell’albero si è spezzato e non ho potuto evitarlo». A questo punto lui perde la memoria, la storia si affida al racconto dei medici del 118 che l’hanno soccorso e condotto qua, sulla Cassia, al sicuro. Invece. «C’era fumo, si percepiva, ci hanno detto di spostarci in un’altra stanza. Che tenerezza quelle neo mamme tutte in fila, una dietro l’altra, spingere le loro cullette il più lontano possibile…». Adolfo viene così dimesso, dimissioni protette, farà la Tac domani in un altro ospedale. «Sicuramente farò causa al Comune, per l’albero. Prima però devo riprendermi un po’, sono state giornate terribili…».
C’è un’aria di spavento, del resto, in tutto l’ospedale. I lampeggianti dei carabinieri tagliano la pioggia. Le ambulanze corrono frenetiche. I pazienti escono curvi nelle loro coperte, in pigiama. «Sì, pa’, sto con le infradito, ho buttato tutto nella borsa e mi sono scordata le scarpe»: Nicola Froncillo è appena diventato nonno di un bimbo «bellissimo». Primo nipote, quando ha visto in televisione il servizio sul San Pietro credeva di morire, dice. Subito dopo è arrivata la telefonata della figlia che appunto adesso gli si è presentata davanti, con l’impermeabile e, però, le infradito: «Sì ma stiamo bene, anche se non è bellissimo respirare per quattro ore quest’aria bruciata, il bimbo ha solo quattro giorni...». Esce finalmente anche il papà, spreme la coccarda azzurra nel pugno e vuole che si sappia: «Hanno anche finito la benzina del generatore, dentro non c’è elettricità». «Io sono a digiuno da ieri sera, neanche un caffè, ora sono destinato al Don Gnocchi ma il nuovo problema sembrano essere i taxi, introvabili»: Paolo De Gori, 74 anni in sedia a rotelle, sa che le ambulanze «sono finite», così aspetta con la moglie Emilia sotto la pioggia e, ogni tanto, assorto, ripete: «Quanto fumo che c’era, quanto fumo…». Fumo che ha incenerito il bar di Luciano e, precisano qua fuori, anche la cappella.
Laggiù, appoggiata sullo scalino di un ingresso secondario che ieri è diventato un porto per i taxi, aspetta anche Rumin. Ha lo sguardo perso nel cielo buio mentre stringe tra le braccia un fagotto rosa: è una bimba, è nata mercoledì. Come sta? Il labbro si arriccia dispiaciuto: «Ci mandano al San Filippo, ma il taxi non arriva…».
❞ Mia figlia è nata ieri. Devo andare al San Filippo Neri, ma non si trovano taxi Rumin