Sicilia, voce, forza: la vera storia di «Rosadilicata»
Stasera all’India la pièce in forma di concerto scritta e interpretata da Chiara Casarico
Per chi non è siciliano Rosa Balistreri, cantante amara nei toni quanto nella vita, difficilmente rappresenta una voce familiare. E le nuove generazioni, pure nella sua isola, rischiavano di perdere il contatto con questa storia di emancipazione e arte partita dalla provincia di Agrigento. Ma a riscoprirla e raccontarla tra dolore e poesia, col sapore agrodolce degli agrumi rossi di Sicilia, è arrivato lo spettacolo Rosadilicata, scritto e interpretato da Chiara Casarico per la regia di Emilia Martinelli, in scena stasera al Teatro India.
Una pièce in forma di concerto che avanza tra narrazione e canzoni dialettali, consegnando al pubblico i passaggi più emozionanti della vita di una donna nata poverissima (nel 1927 a Licata), semianalfabeta, costretta ad allontanarsi dalla propria terra in un percorso di riscatto personale reso possibile grazie al canto, ribellandosi alle regole di una società arcaica e maschilista. Senza però riuscire mai a scrollarsi di dosso la disperazione dei «povericristi». Ruvida e passionale, un’eroina segnata da molte cicatrici, una personalità assolutamente libera pur nel confino espressivo di un’identità culturale così marcata.
Finora ad afferrarne lo spirito in profondità era riuscito meglio di chiunque altro l’amico e poeta Ignazio Buttitta, che la spinse ad andare oltre i canti tradizionali e a comporre nuove melodie di proprio pugno. Di lei scriveva: «La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venisse dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza, povera, donna, madre, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza volto». Con Casarico e Martinelli è invece diventata una sentita pagina di teatro-canzone, che condensa nella sua storia anche quelle dei «jurnatari» (i lavoratori a giornata), i minatori di zolfo, gli emigrati meridionali negli anni Sessanta, le donne abusate che lei ha saputo cantare con forza e tenerezza.
«Il contrasto tra la durezza e la dolcezza di Rosa ci ha spinto a portarla in scena. Questo spettacolo, nato a più di 25 anni dalla sua scomparsa — commentano Casarico e Martinelli — vuole raccontare una donna eccezionale e controversa, che non si è mai fatta schiacciare dalla sua condizione di miseria e ha trasportato nell’arte la disperazione dei reietti, offrendosi come icona di una Sicilia carnale e del rapporto difficile, di odio e amore, che molti siciliani hanno con la loro isola».