L’ATAC E IL SENSO DEL VOTO
Domenica prossima, partecipando al referendum sul trasporto pubblico, i romani potranno dire la loro. Quale che sia l’orientamento, è bene che ognuno esprima un parere e sia raggiunto il quorum del 30%, perché la scelta è importante: dire sì o no alla messa a gara del trasporto pubblico della Capitale, oggi in mano all’Atac. La cui situazione è nota. Priva di concorrenza, la municipalizzata ha accumulato nel tempo un miliardo e mezzo di debiti, è diventata simbolo d’inefficienza e, con i bus in fiamme, ha generato un’inedita forma di umorismo tragicomico che l’accosta all’Isis. I numeri però non fanno ridere: al netto degli ammortamenti e delle svalutazioni, il costo di una vettura al chilometro è passato dai 5,84 euro del 2015 ai 6,47 del 2017, contro una media inferiore a 5 euro a Milano. Il costo del personale, rispetto ai ricavi, è il doppio: 537 contro 264 milioni.
Fine del monopolio non vuol dire automaticamente fine dei problemi: servirebbero comunque una buona liberalizzazione del mercato e un’adeguata gestione aziendale. Entrambe condizioni da costruire. Parte dei sindacati teme danni occupazionali se vince il sì. Comprensibile. Ma nessun regime è instabile, anche per i lavoratori, quanto un’azienda sull’orlo del fallimento. L’esperienza di Milano lo dimostra: passata attraverso una gara nel 2011, Atm è oggi un’azienda solida, che soddisfa utenti e dipendenti e vince gare in Europa, in un mercato che sta crescendo.