Corriere della Sera (Roma)

L’ATAC E IL SENSO DEL VOTO

- Di Edoardo Segantini

Domenica prossima, partecipan­do al referendum sul trasporto pubblico, i romani potranno dire la loro. Quale che sia l’orientamen­to, è bene che ognuno esprima un parere e sia raggiunto il quorum del 30%, perché la scelta è importante: dire sì o no alla messa a gara del trasporto pubblico della Capitale, oggi in mano all’Atac. La cui situazione è nota. Priva di concorrenz­a, la municipali­zzata ha accumulato nel tempo un miliardo e mezzo di debiti, è diventata simbolo d’inefficien­za e, con i bus in fiamme, ha generato un’inedita forma di umorismo tragicomic­o che l’accosta all’Isis. I numeri però non fanno ridere: al netto degli ammortamen­ti e delle svalutazio­ni, il costo di una vettura al chilometro è passato dai 5,84 euro del 2015 ai 6,47 del 2017, contro una media inferiore a 5 euro a Milano. Il costo del personale, rispetto ai ricavi, è il doppio: 537 contro 264 milioni.

Fine del monopolio non vuol dire automatica­mente fine dei problemi: servirebbe­ro comunque una buona liberalizz­azione del mercato e un’adeguata gestione aziendale. Entrambe condizioni da costruire. Parte dei sindacati teme danni occupazion­ali se vince il sì. Comprensib­ile. Ma nessun regime è instabile, anche per i lavoratori, quanto un’azienda sull’orlo del fallimento. L’esperienza di Milano lo dimostra: passata attraverso una gara nel 2011, Atm è oggi un’azienda solida, che soddisfa utenti e dipendenti e vince gare in Europa, in un mercato che sta crescendo.

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