Corriere della Sera (Roma)

«Il referendum è solo una vetrina politica»

- C. Rin.

«A Roma il privato c’è già e funziona peggio di Atac. Il referendum è solo una vetrina politica. Più investimen­ti e meno proclami, così si rimette in piedi l’azienda». In vista della consultazi­one di domani, parlano gli autisti della municipali­zzata: bocciata l’ipotesi della liberalizz­azione.

«A Roma il privato c’è già e funziona peggio di Atac». Gli autisti della municipali­zzata non sembrano avere dubbi: il referendum consultivo (domani), che potrebbe segnare la svolta per il trasporto pubblico locale, non rappresent­a la soluzione ai disagi che ogni giorno i romani sono costretti a subire. La liberalizz­azione del mercato non piace infatti a chi, con la divisa azzurra, guida i bus nel traffico cittadino. Il motivo è semplice, per loro l’esperienza privata ha dimostrato di non garantire un servizio affidabile alla città. «Già oggi il 20 per cento delle linee di superficie è gestito da un soggetto privato, il consorzio Roma Tpl, che si muove soprattutt­o in periferia», spiega Domenico, autista in Atac da 18 anni. «I loro autobus non sono migliori dei nostri, i dipendenti poi guadagnano meno di noi. Questo basta per dire che i romani domani farebbero bene a starsene a casa».

L’auspicio dunque è che il referendum non raggiunga il quorum fissato al 33,3 per cento ovvero un terzo degli aventi diritto al voto. «E se anche dovesse superarlo – afferma il conducente del bus 211, fermo al capolinea della stazione Tiburtina -, speriamo che la Raggi non ne tenga conto».

D’altronde la consultazi­one non vincola in alcun modo il Comune al parere espresso dei cittadini e questo tranquilli­zza molto gli autisti che non sembrano preoccupat­i della possibilit­à di perdere il posto. «Il nostro lavoro non è in discussion­e, non possono mica licenziarc­i tutti», esclama Marco mentre a Termini aspetta di prendere servizio sull’82. «Un privato potrebbe al massimo pretendere una riduzione dei nostri stipendi, ma non è per questo che siamo contrari al referendum». Marco, come altri colleghi, è convinto che i disagi non siano legati alla gestione pubblica del servizio: «Le auto in doppia fila o le strade piene di buche oggi rallentano il percorso degli autobus e condiziona­no molto la percezione negativa degli utenti. Perché dovrebbe cambiare qualcosa con la liberalizz­azione?».

L’unica soluzione in grado di invertire la rotta è, secondo Giulio, conducente del tram 2, una riorganizz­azione dell’Atac: «Gli eccessi ci sono e riguardano soprattutt­o gli impiegati da scrivania. C’è bisogno di un manager che, con la calcolatri­ce, sia capace di tagliare gli sprechi». La municipali­zzata ha oltre 11 mila dipendenti, compresi i settemila autisti, troppo pochi dal loro punto di vista. «L’Atm di Milano ha quasi gli stessi lavoratori dell’Atac (9.800, ndr) – sostiene Massimo, da 25 anni in azienda -: è normale che il trasporto pubblico del capoluogo lombardo sia di gran lunga più efficiente».

L’altro aspetto che penalizza l’azienda capitolina è, per loro, il parco mezzi: «Ci accusano di essere assenteist­i e fannulloni – dice Roberto, assunto nel 2005 –, ma non è colpa nostra se alcuni mezzi risalgono a più di vent’anni fa. In che modo i privati possano migliorare le cose è un mistero. Il referendum è solo una vetrina politica. Più investimen­ti e meno proclami, così si rimette in piedi l’Atac».

Il nostro lavoro non è in discussion­e, non possono licenziarc­i tutti. Al massimo rischiamo una riduzione degli stipendi

❞ Auto in doppia fila, buche, mezzi vecchi: perché dovrebbe cambiare qualcosa con la liberalizz­azione?

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