Ex Penicillina, pronto lo sgombero
La prossima settimana lo stabile sarà liberato. L’allarme: sostanze tossiche nel sottosuolo
Ex Penicillina, è pronto lo sgombero. Entro la prossima settimana dovrebbe partire l’operazione che comprenderà anche la bonifica di tutta l’area: nel sottosuolo, infatti, sembra che ci siano sostanze altamente tossiche. Ieri gli occupanti hanno aperti i cancelli della struttura al Tiburtino, che versa in uno stato di grave degrado. «Non siamo delinquenti, siamo poveri. Abbiamo bisogno d’aiuto», hanno detto.
Sanno che entro pochi giorni saranno sgomberati. Ma non vogliono andarsene dall’ex fabbrica della penicillina a San Basilio senza avere un’alternativa. Sono tanti, in certi giorni anche più di 600. «Ma non siamo animali, e nemmeno delinquenti. Siamo solo poveri», spiega John parlando ai media che per la prima volta sono entrati in massa nell’enorme complesso in via Tiburtina, a due passi dal Raccordo anulare.
Per sicurezza l’incontro avviene nel cortile dell’edificio. Troppo pericoloso aggirarsi nei corridoi e negli stanzoni senza finestre, con i solai pericolanti. Il palazzo inaugurato nel 1950 da sir Alexander Fleming in persona, allora punto di riferimento degli studi sulla penicillina, è un monumento all’abbandono in cima alla lista degli edifici da sgomberare stilata dalla Prefettura. E l’operazione dovrebbe scattare tra la prossima e l’ultima settimana di novembre, come annunciato qualche giorno fa al termine di uno dei tanti Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica. Ma quello che gli occupanti – assistiti ieri dai movimenti di lotta per la casa e dal sindacato Asia Usb – vorrebbero non è uno sgombero ma un’«evacuazione pilotata», concordata con il Comune o con chiunque sia in grado di fornire un alloggio, un’alternativa che non sia la strada. Anche perché moltissimi di loro provengono da occupazioni e da sgomberi, come quello in via di Vannina, poco distante dall’ex fabbrica, da ponte Mammolo e da via Raffaele Costi, a tutt’oggi l’unico edificio liberato dalle forze dell’ordine.
«Gli sgomberi – sottolinea Federico, un giovane volontario che abita a San Basilio e conosce la realtà del complesso abbandonato – producono questo. La gente si sposta e si creano nuovi ghetti. Deve essere un’evacuazione ragionata, sappiamo che in città non c’è più posto per nessuno». E il recupero del più grande ghetto della Capitale, dove la vita è veramente difficile, molto di più che in un palazzo occupato dove le condizioni igienico-sanitarie sono già al limite della sopportazione, passa per la requisizione di tutto l’immobile da parte dello Stato e dalla bonifica dei luoghi dove c’è amianto polverizzato che
Complesso L’edificio è stato inaugurato nel 1950 da sir Alexander Fleming
Ricovero
La popolazione più numerosa è africana: Marocco, Tunisia, Libia, Nigeria e Gambia
spande ovunque, anche verso i palazzi vicini di San Basilio, e ci sono ancora sostanze altamente tossiche. E quindi per il recupero del complesso da mettere a disposizione della cittadinanza.
Solo allora le montagne di rifiuti e la disperazione che nascondono diventeranno un ricordo. Ieri nell’ex fabbrica c’erano duecento persone. Fra loro stranieri e italiani. La popolazione più numerosa è quella dei nordafricani e degli africani provenienti da Marocco, Tunisia, Libia e poi da Nigeria e Gambia. Ma ci sono anche romeni da 30 anni a Roma, qualche sudamericano.
Invalidi, malati, donne incinta, bambini. Gli occupanti chiedono un incontro in Prefettura con Regione e Comu-
ne per trovare una soluzione ragionata prima dello sgombero forzato. E sono pronti a manifestare in Campidoglio con un sit-in.
Aboubakar Soumahoro, rappresentante sindacale dell’Usb (Unione sindacale di base) – protagonista della protesta dei braccianti in Calabria dopo la morte di uno di loro, Soumayla Sacko -, sottolinea come l’attuale governo dica «prima gli italiani, ma qui ci sono anche gli italiani. Solo che sono poveri. Qui la gente chiede un tetto non di vivere in ghetto. Ho anche chiesto aiuto ai rappresentanti diplomatici a Roma di alcuni paesi africani affinché prendano posizione con iniziative».
Intanto il 15 dicembre prossimo gli occupanti – o a quel punto gli ex occupanti della Penicillina – parteciperanno a un’altra manifestazione antirazzista nel centro storico. Perché chi vive nell’ex fabbrica vuole trovare un lavoro, oltre che una casa. E rientrare così anche nel circuito dell’accoglienza che hanno abbandonato diventando dei fantasmi. Soltanto dagli Sprar (Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) del Comune rischiano di uscire in 1.059. «Non ci sono solo banditi e spacciatori, c’è tanta gente che cerca di sopravvivere onestamente», dicono. Di sopravvivere anche a quello che nascondono i sotterranei del complesso, alcuni dei quali allagati, pieni di cisterne nelle quali non si sa cosa ci sia. Una bomba (per gli esperti tossica) pronta a esplodere.