I PARIOLI AL CENTRO DEL MONDO
Ci siamo salvati dalla conferenza sulla Libia, a lungo in bilico tra Sciacca e Roma ma poi svoltasi con modesti esiti a Palermo. Il presidente Donald Trump, che dieci giorni addietro era a Parigi per ricordare la fine della prima guerra mondiale, è stato tanto cortese da non fare tappa a Roma sulla via del ritorno a casa. Sono diventate una rarità le visite dei partner europei, anche perché di questi tempi tra Roma e Bruxelles, e tra Roma e le altre principali capitali della Ue, non corre buon sangue. Ci è andata bene, insomma, e se il traffico è stato spesso convulso in questi ultimi tempi la colpa è stata della pioggia più che della diplomazia.
Ma non possiamo chiedere troppo. Da oggi fino a sabato Roma sarà invasa da un esercito di amici (almeno questo) per la quarta edizione dei «Dialoghi Mediterranei», una iniziativa che sta tentando con qualche successo di alimentare dialoghi di alto livello e scambi di riflessioni tra tutti gli attori di un’area di grande rilievo per la pace e per i nostri interessi nazionali. Gli organizzatori (la Farnesina) annunciano la presenza di mille leader di cinquanta Paesi. Avete letto bene: mille. In buona parte ospitati al Parco dei Principi che sarà anche sede dei lavori, ma chi potrà o vorrà restringere i movimenti (super scortati, naturalmente) delle delegazioni? Allarme ai Parioli, beninteso, ma non basterà. Pensate soltanto ai dirigenti italiani che si recheranno al convegno: Mattarella, Conte, Moavero Milanesi, Trenta.
E tra gli stranieri ci sono moltissimi ministri degli esteri (uno di questi è il russo Lavrov) , ci sono israeliani e palestinesi, il ministro iraniano Zarif che negoziò l’accordo contro il nucleare di Teheran (ora denunciato dagli USA) , il Segretario generale della Nato Stoltenberg, e tanti altri. Tutti fermi in albergo? Non ci contate.
Del resto una capitale come Roma, avvilita com’è dalle sue condizioni di (non) agibilità e dalle disfunzioni dei suoi servizi, non deve rinunciare a mettere fuori la testa di tanto in tanto. A dare un segnale al mondo esterno: io ci sono, noi ci siamo. Dobbiamo abituarci a sopportare quando il motivo è valido, e i romani hanno sempre dimostrato di essere disposti a farlo.
Certo, qualche volta la pazienza arriva al limite. Quando piove, appunto. Quando cade un albero qui o là. E anche quando si verificano circostanze che non hanno nulla di drammatico. Prendiamo qualche sera fa, in via della Scrofa. La sera, macchine portate via e strada bloccata. Parecchie decine di agenti di polizia e di carabinieri, ovunque, anche sui tetti degli edifici. Preghiere cortesi di entrare rapidamente nel proprio portone, senza sostare. Una alta personalità israeliana era andata a cena in un celebre ristorante, si è detto il giorno dopo nel quartiere. Se non fosse stato per l’impossibilità di parcheggiare malgrado un permesso che costa salato, niente di male, anzi.
Roma è ancora bella e si mangia ancora bene, non dimentichiamolo malgrado il nostro disincanto. I contatti con l’esterno possono fare bene alla città, possono incoraggiarla a curare i suoi mali. E allora viva quella cena, e viva i dialoghi mediterranei. E se non ce la fate ad essere contenti, pensate a Bruxelles, che da diciassette anni ospita vertici europei pressoché quotidiani dopo averli vittoriosamente strappati alle altre capitali. Noi saremo pure messi male, ma un simile suicidio non ci sfiora nemmeno.