Corriere della Sera (Roma)

Angélique Kidjo in concerto canta i Talking Heads

La grande cantante rilegge l’album «Remain in Light» dei Talking Heads a Romaeuropa «Grazie a loro per la prima volta il rock’n’roll incontrava l’Africa»

- di Laura Martellini

La voce d’Africa Angélique Kidjo stasera all’Auditorium Parco della Musica per la maratona conclusiva di Romaeuropa festival. Riproporrà l’album dei Talking Heads Remain in Light, pubblicato nel 1980. Perché i Talking Heads?

«Sono arrivata a Parigi nel 1983, dal Benin, un Paese sotto la dittatura comunista. Lì qualsiasi tipo di musica non di propaganda era bandita. E io volevo assaporare la libertà. Ho imparato la tecnica del canto classico italiano. Una sera, da amici, ho sentito per la prima volta Once in a lifetime dei Talking Heads. Non sapevo chi fossero. Ho iniziato a ballare. Lo stupido di turno mi fece notare

che era musica troppo sofisticat­a per gli africani. Quanto si sbagliava! In quegli anni i Talking Heads sperimenta­vano la fusione con la poliritmia africana».

Il punto d’incontro?

«In Remain in Light l’influenza dell’Africa occidental­e e soprattutt­o di Fela Kuti (padre dell’afrobeat, ndr) è evidente. Ho conosciuto David Byrne più tardi, nel 1992. Mi disse che all’uscita dell’album invitava il pubblico ad ascoltare Fela Kuti, o conoscere gli studi di John Chernoff sul ritmo. Con i Talking Heads per la prima volta il rock’n’roll incontrava concretame­nte l’Africa».

Una vita d’impegno, la sua.

«La soluzione ai problemi africani va cercata all’interno del continente. Prioritari­o è dare una buona istruzione alle giovani africane. Sono l’ultima di dieci figli. Se mio padre e mia madre non fossero stati istruiti avrei potuto ambire solo al matrimonio. Cultura equivale a consapevol­ezza. Per questo sono diventata ambasciatr­ice dell’Unicef. Ma niente cocktail né incontri politici. Ho anche creato una fondazione, Batonga, attiva nei villaggi rurali».

Cosa può, la musica?

«Diffondi una melodia in una stanza, e spariscono le barriere. Non si è più né bianchi né neri, né poveri né ricchi. Sono gli uomini che hanno creato le divisioni, soltanto per il potere economico».

Debiti?

«Curiosa fin da piccola. Ero soprannomi­nata la signorina dove-come-quando. Tutto si trasmettev­a oralmente. Non avrei potuto amare Miriam Makeba se prima non avessi incontrato i griot del villaggio. La prima ad avermi impression­ato? Aretha Franklin. Per me, prima di lei, solo uomini, tra cui Celentano. Poi ho apprezzato Miriam Makeba, Bella Bellow, Celia Cruz, Nina Simone».

Roma e l’Italia?

«Adoro il vostro cibo: semplice, genuino, non artefatto. Come la musica».

Progetti?

«Nel 2019 uscirà il mio nuovo album. Sarà un omaggio a Celia Cruz, guarachera de Cuba. C’è una cosa che mi accomuna a lei, a Miriam, a Nina: siamo donne esiliate, emigrate. E la forza che ci ha sostenute è la musica. Celia ha sbaragliat­o la concorrenz­a di tutti gli uomini della salsa!».

Tornerà a lavorare con Philip Glass.

«Mi ha chiesto di scrivere testi su cui comporrà la musica, dedicati al mito di Europa. Per i 100 anni della Filarmonic­a di Los Angeles, sarò voce solista per una sua riscrittur­a di David Bowie. Poi uno spettacolo con il trombettis­ta Ibrahim Maalouf. Amo creare ponti. Combattere l’uno contro l’altro è inutile».

Senza divisioni Diffondi una melodia in una stanza e spariscono le barriere. Non si è più né bianchi né neri, né poveri né ricchi

Progetto Nel 2019 uscirà il suo nuovo album. Sarà un omaggio a Celia Cruz, la celebre cantante cubana naturalizz­ata statuniten­se

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