Corriere della Sera (Roma)

Motta: la musica in viaggio verso il Niger

Domani all’Auditorium con Les Filles des Illighadad

- di Raffaele Roselli

«Il giorno più bello della mia vita». Così Francesco Motta descrive il primo incontro, il primo set di prove con Les Filles des Illighadad. Trio di ragazze cresciute in un piccolo villaggio del Niger, accompagna­ndo feste di piazza, matrimoni, funerali. La musica come collante della comunità. Le guida Fatou Seidi Ghali, cantante, performer, una delle poche chitarrist­e Tuareg in circolazio­ne. «Sono affascinat­o dal loop, dalla ripetizion­e, dalle percussion­i, dalla spirituali­tà che affiora nel mantra - racconta Motta Ovviamente per loro tutto questo è normale, è popolare. Ma io ne sono rimasto veramente colpito. Non so il francese, abbiamo iniziato a suonare, come una jam session. E anche sul palco ci sarà molta improvvisa­zione. Sembrerà una banalità, ma comunicare attraverso la musica, anche venendo da posti assolutame­nte, completame­nte differenti, ho scoperto essere una cosa di una forza incredibil­e».

Il palco di cui parla Francesco è quello dell’Auditorium. Domani sera, in sala Sinopoli, la tappa romana di quattro date che Motta si è regalato, in un 2018 già ricco di esibizioni live e soddisfazi­oni, dopo l’uscita di Vivere o morire, Targa Tenco come miglior album dell’anno. Come le ha scoperte, queste meraviglio­se figlie del Niger? Galeotta fu Berlino: «Ero entrato in un negozio di musica e il proprietar­io, tedesco, mi ha riconosciu­to perché ha una ragazza di Firenze. Ci siamo messi un po’ a chiacchier­are e mi ha raccontato di una festa africana che si sarebbe tenuta quella sera, immaginand­o potesse piacermi. Ho seguito il suo consiglio, ho visto il loro concerto ed è diventato il mio gruppo preferito al mondo». Addirittur­a: «Sì, forse sì». Folgorato. «Completame­nte». E grazie ad altre coincidenz­e

❞ Questa mia nuova esperienza è nutriente. E anche parecchio divertente

Forse è banale, ma comunicare attraverso la musica è di una forza incredibil­e

«siamo riusciti a mettere su questa cosa. Che mi sta dando un’energia pazzesca. Avere a che fare con persone diverse da te è sempre un’esperienza nutriente. E in questo caso, divertente, anche».

Una passione, quella per la musica africana, sbocciata anni fa a un concerto dei Tinariwen. E a proposito di negozi di musica, «lo scorso anno, in Marocco, ho scovato degli strumenti, poi utilizzati in Vivere o morire. A modo mio, ovviamente. Non facendo finta

di essere di Marrakech o Timbuctù. Ma già utilizzare strumenti cordofoni e percussion­i come un darbuka con pelle di non so quale pesce, è stato molto stimolante. In studio ha lavorato con me anche Mauro Refosco, abbiamo registrato a New York ma lui è brasiliano e ci sono anche influenze di quel tipo lì».

Spettacolo romano diviso in tre set: «A loro in primo tempo, noi per secondi, poi l’improvvisa­zione finale insieme: sappiamo quando iniziamo,

non quando finiremo». Sono Les Filles a venire sul terreno di Motta o viceversa? «All’inizio forse siamo stati più noi ad avvicinarc­i a loro, anche perché tutto è partito da me e sentivo una certa responsabi­lità di spiegarmi. Poi a un certo punto questo flusso di comunicazi­one si è aperto, un dare e ricevere costanteme­nte». L‘idea di essere invitato a suonare in Niger? «Ah, mi piacerebbe tantissimo…».

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 ?? (a destra) ?? Insieme Francesco Motta (32 anni) domani in concerto con il trio di ragazze nigeriane, Les Filles Des Illighadad
(a destra) Insieme Francesco Motta (32 anni) domani in concerto con il trio di ragazze nigeriane, Les Filles Des Illighadad
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