Ernia, il rapper che canta il «68» (l’autobus)
Il rapper, ai vertici in classifica, stasera al Circolo degli Illuminati. Il titolo dell’album: «Nessuna contestazione, solo il numero del mezzo che mi portava a scuola»
Un milanese a Roma. Il rapper Ernia sarà stasera in concerto al Circolo degli Illuminati, con il suo ultimo album 68 — nessun riferimento alla contestazione, come ci si aspetterebbe da una certa generazione in poi, ma è il numero dell’autobus che portava Matteo Professione, 25 anni, vero nome dell’artista, dalla periferia al centro — all’uscita schizzato subito al primo posto in classifica. Uno di quei balzi che non ti aspetti.
A Roma è già salito sul palco del Lanificio e dell’Ex Dogana. Torna, ora, con la benedizione del pubblico romano, che ha iniziato ad apprezzarne lo stile nonostante le differenze che Ernia è il primo a sceverare: «La scena romana è più estrema, e non da ora. Nella ge-
nerazione precedente alla mia, a Milano c’erano i Club Dogo, a Roma i Truceklan che esprimevano un disagio vero. La potenza del rave».
Anche lui è il riflesso di uno stile nordico meno arrabbiato: «Ma non è perché sono colto, anche se sì, hanno detto che i miei testi hanno un livello alto. Non sono un dottorando! Ho frequentato il liceo scientifico e sostenuto dieci esami all’università. Mi piacciono i saggi storici, sono appassionato del periodo di Roma antica in lotta contro i barbari. C’è lo zampino di mia madre, certo, che insegna Latino. Ma l’amore è nato anche in antitesi a lei: pur di fare il duro, mi sono schierato con i Celti e i Germani!» sorride.
Torniamo al 68: «Se dovessi definire il mio rap, direi che è vero, sincero. Su quell’autobus ho visto scorrere tanta vita, in viaggio dal Quartiere Triennale 8 dove sono nato, ai navigli. La zona della movida. Dalle elementari fino al liceo, all’università. Non so come definire il mio luogo di nascita. Se vivi lì, è casa tua, non è facile prenderne le distanze. Spaccio di droga? Sì, ma succede anche davanti a piazza Duomo. Fossi nato a Porta Genova, non mi sarebbe mai venuto in mente di fare il rapper. È uno sfogo. Una via d’uscita».
Nella data di Firenze ci sono stati momenti di tensione con il pubblico. Ricorda: «Sono stati rivolti apprezzamenti sessisti alla mia dj, Angie, che fra l’altro non si stava ancora esibendo. Aggiustava alcuni cavi. Nessuno di noi qua fa il moralista: se lo fossimo, Fabri Fibra sarebbe chiuso in un centro psichiatrico. Fa parte del gioco. Come vedere un film, sapendo che si tratta di fiction. Ma lì è andata diversamente. Va bene l’ironia, ma era fuori contesto». Non è un mistero però che il rap sia un po’ — appunto — sessista: «Meno di qualche anno fa. I miei colleghi sono in prevalenza uomini, vero, ma il problema è che le ragazze si esprimono come gli uomini. All’estero non succede. Da una donna, vorrei sapere “Che cosa hai da dirmi?».
Ipotesi: lui fra i giovani al festival di Sanremo. «Mi sono già rifiutato — obietta —. Non è il mio mondo. Prima la rassegna schifava i rapper, adesso siccome fanno alti numeri e dischi d’oro li chiama a raccolta. Ma è un gioco troppo facile. Ricordo bene come è stato trattato Eminem ospite dell’edizione di Raffaella Carrà».
Ultima curiosità, quel nome da intervento all’addome: «Me l’affibbiò una compagna delle medie che soffriva di un’ernia ombelicale. Ce l’aveva lei, ma chiamava così me. Sto scrivendo nuovi brani. Troppo presto per dire. Anche perché cambieranno, da qui alla pubblicazione».
Sanremo
Non è il mio mondo. Prima schifava i rapper, ora siccome fanno alti numeri e dischi d’oro li chiama a raccolta.
Ma è un gioco troppo facile Mi piacciono i saggi storici, il periodo di Roma antica in lotta contro i barbari. C’è lo zampino di mia madre, che insegna Latino