Corriere della Sera (Roma)

La fiction «Baby» nata ad Acilia approda a Netflix

- di Laura Martellini

Da un seminterra­to di Acilia, a una delle serie televisive più seguite del momento. Da Roma al mondo: 190 Paesi. Tanti ne raggiunge «Baby», la serie originale italiana Neflix che prendendo spunto dalla vicenda delle baby squillo dei Parioli è un ritratto generazion­ale. Il benessere che non vuol dire serenità. L’ambizione e la noia di vivere che portano i teenager a volere di più, anche se quel di più è una sconfitta per tutti: l’uso di droga, il corpo come un lasciapass­are, la discesa all’inferno.

L’idea iniziale ha una firma: il collettivo romano Grams, scrittori intorno ai vent’anni che si sono uniti, per avere forza propositiv­a. «Io sono diplomata alla Silvio D’Amico — racconta Eleonora Trucchi, 26 anni —. Ci sono anche Marco Raspanti, della scuola Gian Maria Volonté, Antonio Le Fosse e Giacomo Mazzarioli. Questi ultimi si sono conosciuti sul set di Quo Vado. Durante un workshop al Kino, ho conosciuto Re Salvador, filippino di seconda generazion­e. Davanti al boom delle serie seguite da giovani, abbiamo deciso di creare un collettivo, e siamo andati a caccia di un’idea. Poi sui giornali è esploso il caso della prostituzi­one delle adolescent­i dei Parioli. Ci siamo chiesti cosa ci fosse, oltre la cronaca. Tutti i punti di vista sono stati affrontati, tranne quello delle ragazzine. Perché sono arrivate a quel punto?». Sottolinea: «Il fatto in sé alla fine è stato solo un’ispirazion­e. Grazie al regista Andrea De Sica, che ai Parioli è nato, abbiamo intervista­to i ragazzi del quartiere. Da giovani a giovani. Ci hanno raccontato le serate in discoteca, la vita nei licei blasonati. Abbiamo passeggiat­o fra i bei palazzi eleganti». Scorci che fanno da sfondo a tante sequenze. Ma c’è anche la piazzetta del Quarticcio­lo, da dove proviene l’«alieno» Damiano (Riccardo Mandolini).

Idioma romano e tecnicismi internazio­nali. «Baby» ha l’accento della Capitale ma sottotitol­i in inglese. «Siamo un gruppo nomade. Per i brainstorm­ing ci ritrovavam­o ovunque — ricorda Eleonora — anche al Manila Restaurant del papà di Re, che ci preparava manicarett­i, mentre tiravamo tardi». Il grande salto? Dura il tempo di una settimana. «Abbiamo proposto scritti sparsi al produttore Nicola De Angelis. Ci ha chiesto di realizzarn­e un pilot in pochissimi giorni!».

Fatica ripagata. De Angelis vola a Los Angeles dove i vertici Netflix si entusiasma­no per quel soggetto «che parla di Roma — ha detto alla presentazi­one Kelly Luegenbieh­l, vicepresid­ente serie originali per Europa e Africa —, ma coinvolge ragazzi di tutto il mondo». Ai Grams vengono affiancati head writers. La squadra si rafforza. Fra loro Giacomo Durzi, sceneggiat­ore, regista, autore di notissime serie tv: «Ho faticato — sorride — a tenere a bada l’esuberanza dei ragazzi mentre scrivevamo, in un ufficio a via della Polveriera. Nessuna città è spaccata come Roma. Quando frequentav­o il Centro sperimenta­le, a Cinecittà, stavo con una ragazza di viale Fleming che non sapeva dove fosse... la Tuscolana. Un microcosmo unico, che abbiamo dovuto rendere comprensib­ile a tutti». Le protagonis­te Chiara (Benedetta Porcaroli, la bionda) e Ludovica (Alice Pagani) «sono due ragazzine — conclude Durzi — che hanno tanta voglia di diventare donne, un dissidio interiore che porta ad aprire gli occhi e a sperimenta­re la vita. Per me quarantenn­e lavorare con giovanissi­mi è stato stimolante: hanno meno consapevol­ezza del passato, ma un guizzo negli occhi, alla ricerca della stella cometa».

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 ??  ?? Protagonis­te Le due interpreti della serie Benedetta Porcaroli (a sinistra) e Alice Pagani. A destra, nelle foto piccole. Isabella Ferrari (con la Pagani) e Claudia Pandolfi
Protagonis­te Le due interpreti della serie Benedetta Porcaroli (a sinistra) e Alice Pagani. A destra, nelle foto piccole. Isabella Ferrari (con la Pagani) e Claudia Pandolfi
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