Corriere della Sera (Roma)

Se la squadra mi dà emozioni voglio bene anche ai suoi difetti

- di Paola Di Caro

Dopo questa Roma-Inter io voglio bene a Robin Olsen, perché le rinvia tutte fuori, ma quasi mai le fa entrare in rete. Ad Aleksandar Kolarov che un anno fa travolgeva avversari e partite e quest’anno le risolve battendo un rigore che avrebbe fatto tremare gente con la faccia più da duro di lui, se ne esiste.

A Kostas Manolas che si perde Icardi, ma che alla fine, lui, non si perde mai.

A Juan Jesus con le sue incertezze e la certezza che, in qualche modo, spesso arriva a salvare e a salvarsi.

A Davide Santon perché tutti sbagliano ma lo sbaglio vero è non provarci.

A Bryan Cristante cui manca l’acuto ma mai il rendersi utile, nel suo serio impegno. A Steven Nzonzi perché dà sicurezza anche quando fa un errore, perché mette ordine anche se non inventa e chi naviga sa quanto serve un faro in mezzo al mare. Ad Alessandro Florenzi che poteva fare il gol della svolta, ma che ci va vicino e corre, corre come se non ci fosse un domani.

A Nicolò Zaniolo e il perché lo capiscono tutti.

A Cengiz Under che sbaglia gol possibili con la sfrontatez­za con cui segna gol impossibil­i. A Patrik Schick che entra in campo con l’etichetta di inadeguato, buono per il ritorno alla Samp, e ne esce con una giocata da fenomeno e la fatica di chi ha fatto il lavoro sporco per 90 minuti.

Io voglio bene a subentrati e panchinari.

E ad Eusebio Di Francesco, che non è il mio allenatore ideale, ma che è il mio allenatore. Perché ci sono momenti chiave, nel calcio e nella vita, in cui serve solo voler bene. E se non ora, quando?

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