Cicerone, storia di un omicidio politico
Fu ucciso 2061 anni fa. L’autrice di «Tenebre» ci spiega perché il caso è d’attualità
C’ è stato un tempo in cui di parole si poteva anche morire. Il 7 dicembre del 43 a.C., 2061 anni fa, Marco Tullio Cicerone fu assassinato. Un omicidio politico dai modi esemplari, che fa riflettere su terribili casi del mondo d’oggi. Gli tagliarono la gola e le mani, il suono e i gesti delle sue parole. Perché in quel tempo le parole potevano procurare gloria e far scorrere sangue. Per le sue parole, Cicerone conobbe l’una e l’altro. Strumenti per conquistare consenso e potere, diventavano armi micidiali per abbattere gli iniqui, che minavano le istituzioni della Res publica. Caddero tutti. Perché Cicerone non aveva il corpo di un guerriero, ma il cuore sì, e la Patria si poteva difendere anche con armi diverse dai pugnali: Roma lo acclamò Padre, Pater Patriae, e per lui fu gloria. Ma anche le stelle declinano. Sorsero altre stelle, Giulio Cesare, ma qualcuno ne oscurò la luce e su Roma si addensarono le tenebre. Cicerone incominciò a sentire l’odore del sangue: di altre guerre civili, del suo. Bisognava combattere gli iniqui che volevano il potere tutto per sé, il più iniquo di tutti, il console in carica Marco Antonio: «Con questo mio discorso ti lacererò, ti colpirò a sangue». Una dichiarazione di guerra. Lo chiama bestia, ladro, ignorante, ubriacone, pervertito. Gli spiega che il potere politico è servizio e onore, e lui non ne è degno. Armi contro il console, ma anche contro se stesso.
Èla sua ultima battaglia, la più disperata, quella che ha già perso, e lo sa. Marco Antonio se la prese a male, moltissimo. Era passato poco più di un anno e pretese la sua testa. Cicerone tentò di fuggire, ma fu raggiunto dai sicari e morì sulle sponde del mare, a Formia, in un mattino di vento e di onde alte. «Si toccò la guancia con la sinistra, gli occhi fissi sui sicari, aveva i capelli scomposti e lo sguardo disfatto dai pensieri, un’espressione che nessuno poté sostenere, e tutti si coprirono gli occhi». L’ultima fotografia di un uomo vinto che era stato grande. Fotografia triste, come triste è il destino degli uomini vinti, che è condanna oppure oblio. Ma questa è una storia grande e tragica, ideali e parole che innalzano e che uccidono. Una storia troppo lontana dalle nostre che non merita il giudizio facile del senno di poi. Merita solo riflessione e, semmai, l’unica celebrazione possibile: la memoria.
*docente di Letteratura latina alla Federico II di Napoli, autrice del romanzo «Tenebre» (Sem, 2018)