Studi internazionali, indagato il presidente
L’inchiesta su corsi e fondi pubblici, ora Bisogni è accusato di truffa
L’inchiesta sulla presunta truffa dell’Università degli studi internazionali di Roma (Unint) nell’ottenere fondi pubblici «barando» sui titoli per averne diritto compie un salto in avanti con l’iscrizione tra gli indagati del presidente del cda, Giovanni Bisogni.
L’accelerazione impressa alle indagini dal pm Mario Palazzi, ricevuta una prima informativa dai finanzieri del Nucleo tributario, si somma all’istruttoria aperta ufficialmente dall’Anac sull’ipotesi di un conflitto di interessi tra l’Unint e l’istituto Formit, che controlla di fatto l’ex ateneo San Pio V ei cui vertici sono sovrapponibili a quelli dell’università nella persona dello stesso Bisogni e di suo figlio Fabio (non indagato). L’ammontare della presunta truffa è in fase di accertamento (sotto esame ci sono corsi per milioni di euro ma non è detto che tutti rientrino nell’illecito), mentre chiaro appare il meccanismo che ne sarebbe alla base: un gruppo di docenti universitari che si sono trovati a fare da garanti su alcuni progetti di ricerca della Unint, senza che però nessuno li abbia mai informati.
Da metà gennaio, quando la notizia dell’inchiesta è diventata pubblica, l’ateneo di via delle Sette Chiese è attraversato da un nervoso fermento. Molti docenti, anche non coinvolti negli accertamenti (alcuni di loro sono stati ascoltati come testimoni dalla Gdf), hanno chiesto chiarimenti e minacciato di rinunciare ai propri incarichi se non ne avranno. Per spegnere le polemiche il senato accademico e il cda hanno diffuso un documento di piena fiducia a Bisogni, assicurando che nessun illecito è stato commesso. I recenti sviluppi invitano a maggior cautela prima di sbilanciarsi.
A fare le spese del clima di tensione sono stati così una studentessa e un docente, entrambi «colpevoli» di aver dato sostegno a un volantino satirico sulla gestione dell’ateno. La prima, sorpresa a distribuirlo all’esterno dell’edificio, è stata bruscamente dissuasa a continuare da parte di un membro del senato accademico.
Il secondo ha invece visto il suo contratto interrompersi di colpo aver «contribuito — si legge nel provvedimento — a diffondere sui social network una locandina graveOggi mente lesiva della dignità e dell’onore del rettore, dei presidi di facoltà, del direttore amministrativo e del presidente del consiglio di amministrazione dell’ateneo». Il provvedimento è stato già impugnato davanti al giudice del lavoro sul presupposto che violi la libertà di espressione e sia stato emesso da un organo (il senato accademico) non competente e soprattutto bypassando il diritto di difesa davanti al collegio di disciplina.