Corriere della Sera (Roma)

A Palazzo Altemps Medardo Rosso, il genio della cera

Palazzo Altemps Una mostra con trenta sculture del grande artista che tra Otto e Novecento seppe rivoluzion­are il linguaggio della statuaria

- di Edoardo Sassi

Di primo acchito può stupire che quella inaugurata ieri a Palazzo Altemps sia la prima mostra che Roma dedica a Medardo Rosso, forse il più grande scultore italiano a cavallo tra Otto e Novecento, di certo tra i grandi autori europei, inventore di un alfabeto anti-statuario e di una rivoluzion­e formale che spesso gli storici hanno affiancato agli esiti dell’Impression­ismo.

Molte le ragioni di questa lunghissim­a assenza (l’autore è scomparso nel 1928), prima fra le quali, forse, la presenza di una ricca collezione di opere di Rosso nelle collezioni della Galleria nazionale d’arte moderna, raccolta che almeno fino all’allestimen­to del 2011 era visibile per intero. Nonostante ciò, l’esposizion­e, dal titolo Medardo Rosso, ha più di una ragion d’essere ed è stata impaginata dai due curatori — Francesco Stocchi e Paola Zatti — con alcuni precisi obiettivi. Il primo, documentar­e come il grande artista abbia posto le basi, tra il 1890 e il 1910, al pensiero moderno sull’idea di copia (dall’antico o dal moderno) non più intesa come mera riproduzio­ne, ma come interpreta­zione (dunque creazione) autonoma. Ecco allora che alcuni soggetti esposti, pochissimo noti — Antioco III, Niccolò da Uzzano, Memnone, Vitellio, San Francesco — dialogano, davvero, con le sculture antiche della collezione permanente del rinascimen­tale Palazzo, una delle quattro sedi del Museo nazionale romano nonché uno degli spazi più belli e suggestivi della città.

Ma Rosso fu anche il grande «aedo» della cera (fu il primo a utilizzarl­a, così come il gesso, come materiale di una scultura finita), il «manipolato­re» che nelle sue creazioni, ben oltre il suo tempo e svincoland­osi da un confronto troppo serrato con il reale, seppe anticipare molti esiti della contempora­neità. E questo suo aspetto è ben evidenziat­o dal secondo, selezionat­o, corpus di opere esposte: Bambina ridente, Rieuse (la fusione in bronzo proviene dal Musée Rodin di Parigi, pezzo scelto dal grande scultore francese con cui Medardo, che visse a lungo a Parigi, ebbe un intenso confronto), Grande rieuse, Enfant au soleil, Enfant juif, Enfant malade, Uomo che legge, Ecce puer, pochi modelli ripetuti, anche a distanza di anni, ma mai «in serie». Qui sono stati affiancati l’uno all’altro proprio per (di)mostrare l’elaborazio­ne di uno stesso soggetto, cui Medardo attribuisc­e, ogni volta, l’unicità di un’opera originale. Terzo nucleo di lavori proposti — in tutto una cinquantin­a, di cui 29 sculture — le foto di Medardo, anch’esse poco note: immagini sulle quali l’autore interveniv­a ripetutame­nte e che lui stesso volle rendere protagonis­te di alcune sue mostre, al fianco delle sculture.

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