A Palazzo Altemps Medardo Rosso, il genio della cera
Palazzo Altemps Una mostra con trenta sculture del grande artista che tra Otto e Novecento seppe rivoluzionare il linguaggio della statuaria
Di primo acchito può stupire che quella inaugurata ieri a Palazzo Altemps sia la prima mostra che Roma dedica a Medardo Rosso, forse il più grande scultore italiano a cavallo tra Otto e Novecento, di certo tra i grandi autori europei, inventore di un alfabeto anti-statuario e di una rivoluzione formale che spesso gli storici hanno affiancato agli esiti dell’Impressionismo.
Molte le ragioni di questa lunghissima assenza (l’autore è scomparso nel 1928), prima fra le quali, forse, la presenza di una ricca collezione di opere di Rosso nelle collezioni della Galleria nazionale d’arte moderna, raccolta che almeno fino all’allestimento del 2011 era visibile per intero. Nonostante ciò, l’esposizione, dal titolo Medardo Rosso, ha più di una ragion d’essere ed è stata impaginata dai due curatori — Francesco Stocchi e Paola Zatti — con alcuni precisi obiettivi. Il primo, documentare come il grande artista abbia posto le basi, tra il 1890 e il 1910, al pensiero moderno sull’idea di copia (dall’antico o dal moderno) non più intesa come mera riproduzione, ma come interpretazione (dunque creazione) autonoma. Ecco allora che alcuni soggetti esposti, pochissimo noti — Antioco III, Niccolò da Uzzano, Memnone, Vitellio, San Francesco — dialogano, davvero, con le sculture antiche della collezione permanente del rinascimentale Palazzo, una delle quattro sedi del Museo nazionale romano nonché uno degli spazi più belli e suggestivi della città.
Ma Rosso fu anche il grande «aedo» della cera (fu il primo a utilizzarla, così come il gesso, come materiale di una scultura finita), il «manipolatore» che nelle sue creazioni, ben oltre il suo tempo e svincolandosi da un confronto troppo serrato con il reale, seppe anticipare molti esiti della contemporaneità. E questo suo aspetto è ben evidenziato dal secondo, selezionato, corpus di opere esposte: Bambina ridente, Rieuse (la fusione in bronzo proviene dal Musée Rodin di Parigi, pezzo scelto dal grande scultore francese con cui Medardo, che visse a lungo a Parigi, ebbe un intenso confronto), Grande rieuse, Enfant au soleil, Enfant juif, Enfant malade, Uomo che legge, Ecce puer, pochi modelli ripetuti, anche a distanza di anni, ma mai «in serie». Qui sono stati affiancati l’uno all’altro proprio per (di)mostrare l’elaborazione di uno stesso soggetto, cui Medardo attribuisce, ogni volta, l’unicità di un’opera originale. Terzo nucleo di lavori proposti — in tutto una cinquantina, di cui 29 sculture — le foto di Medardo, anch’esse poco note: immagini sulle quali l’autore interveniva ripetutamente e che lui stesso volle rendere protagoniste di alcune sue mostre, al fianco delle sculture.