Santo Stefano, il carcere borbonico ridotto a un rudere
Nel penitenziario borbonico, in abbandono dal 1965, è stato imprigionato pure Sandro Pertini Ruggine, erba alta e calcinacci. Dal Cipe 70 milioni nel 2016, finora realizzato solo l’eliporto
Sull’isola-fortezza di Santo Stefano l’ex carcere dei dissidenti politici sta cadendo a pezzi: la ruggine divora le porte delle celle, l’erba è alta. Ma il Cipe ha stanziato nel 2016 70 milioni per il restauro, fermi in un cassetto.
La ruggine divora le porte delle celle, dietro cespugli alti mezzo metro. Tutto intorno, palazzine come ruderi e segnali di pericolo.
Sull’isola-fortezza di Santo Stefano - territorio di Ventotene, provincia di Latina - l’ex carcere dei dissidenti politici si sbriciola. Molti lo confondono con i luoghi del confino di Altiero Spinelli, mandato invece in esilio forzato un miglio di mare più in là, a Ventotene. Dal penitenziario borbonico, l’anarchico Gaetano Bresci non uscì vivo. Sandro Pertini se ne andò dopo 14 mesi solo perché ebbe la fortuna di ammalarsi.
Per il recupero della prigione settecentesca, chiusa nel ‘65 e di proprietà demaniale, il Cipe ha stanziato 70 milioni nel 2016. Fondi inutilizzati, a parte 1,6 milioni di opere primarie, come l’eliporto per scaricare i materiali che dovevano servire per i lavori. Ma quali lavori? Il grosso dei fondi è ancora lì che aspetta: scadranno nel 2021. A quel punto, se mancherà ancora un progetto, troveranno un’altra destinazione. Da tre anni e tre governi si perde tempo senza un perché.
Intanto l’intonaco della chiesetta al centro del carcere, restaurata nel 2005, si sta già staccando. I pavimenti della tessitoria, dove ai detenuti era concesso di lavorare, sono venuti giù due anni fa. Perde pezzi anche la palazzina del direttore. Tre quarti dell’ex penitenziario, ormai, sono inaccessibili: la cella 36 di Pertini non è più visitabile, né il cimitero.
«Siamo all’ultima chiamata per salvarlo: ora o mai più», è l’appello dell’assessore Francesco Carta, delegato dal comune di Ventotene a interfacciarsi col tavolo tecnico che deve decidere come investire le risorse. «Dovevamo aggiornarci a fine giugno: riunione saltata. Che aspettiamo a fissarne un’altra?». Le visite erano sospese dal 2016. «Riprenderle - spiega Carta – è stato un primo passo irrinunciabile, l’anno scorso, per strappare il reclusorio almeno un po’ all’abbandono».
Un capolavoro di architettura giudiziaria, concepito sulla pianta del teatro San Carlo di Napoli: le celle disposte a ferro di cavallo, sotto tre piani di arcate che rischiano anch’esse di cedere; le torri di controllo, laterali come le quinte teatrali e, al centro, al posto del palco, una cappellina per la messa. Nessun detenuto poteva sfuggire all’ascolto del vangelo, né al controllo delle guardie: il dominio sui reclusi, circondati dal mare senza vederlo, era totale.
Carta si perde nel ripercorrere le storie dei prigionieri, specie i meno noti. Da Sante Pollastri, la cui amicizia col ciclista Costante Girardengo ispirò a De Gregori «Il bandito e il campione», a Rocco Pugliese, studente antifascista, stessa morte misteriosa di Bresci: suicida impiccato o massacrato in un «santantonio» delle guardie, la pratica di ammazzare di botte i detenuti avvolgendoli in un lenzuolo per non lasciare segni sul corpo. Suicidi finti, secondo Pertini, nel caso di Bresci come di Pugliese, per coprire le colpe dei carcerieri.
Sulla riconversione dell’ex penitenziario, Carta ha idee chiarissime. «Il comune vorrebbe farne un museo. La struttura o si utilizza o muore, la messa in sicurezza periodica non basta. Servirebbe un ente gestore che se ne occupi stabilmente». Quello della valorizzazione dell’ex carcere era un discorso iniziato con Dario Franceschini: a Ventotene sperano che il suo nuovo mandato di ministro della Cultura riparta da qui. «Chiediamo aiuto a lui e alla politica tutta - conclude Carta -. È paradossale che pur di non sederci intorno a un tavolo per prendere una decisione, rischiamo di sprecare dei soldi e di perdere un bene dal valore inestimabile. Il carcere di Santo Stefano è unico al mondo. Stiamo lasciando crollare un pezzo di memoria del Paese».