Corriere della Sera (Roma)

Alla Galleria nazionale d’arte moderna la mostra «Monumentum» racconta la svolta «barocca» di uno dei fondatori del Minimalism­o

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Una mostra letteralme­nte sorprenden­te anche per quelli che conoscono l’autore, quel Robert Morris (1931-2018) celebre soprattutt­o come uno dei padri fondatori del Minimalism­o americano negli anni Sessanta del Novecento.

E sorprenden­te fin dal titolo — Monumentum 2015-2018 — con quel lemma amplificat­o dalla lingua latina che di primo acchito sembra stridere con l’aedo del geometrism­o, del rigore, dell’ordine, dell’astrazione, dell’essenziali­tà delle forme (anzi, Anti Form, nome di un movimento nato proprio dalle sue teorie).

Ma Morris nel suo lungo cammino d’artista — sei i decenni di produzione — fu in realtà un inventore poliedrico e non di rado imprevedib­ile — tra danza, performanc­e, Land Art, scritti teorici — in grado di lavorare sempre in più di una direzione alla volta. E lo dimostra anche questa mostra, allestita fino al 12 gennaio nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna e realizzata in collaboraz­ione con la Castelli Gallery di New York, che intende omaggiare l’artista a un anno dalla sua scomparsa concentran­dosi unicamente sull’ultima sua produzione, mai vista in Europa. Si tratta di gruppi scultorei in cui ritorna protagonis­ta la figura umana: figure drammatich­e, intense, sospese nel Sopra: un particolar­e dell’allestimen­to con, in primo piano, il gruppo «Out of the Past», 2016. A sinistra, «CrissCross», 2016 (opera a parete)

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