«La carbonara non esiste» Un libro su storia e curiosità
La fine del libro è corredata da un corposo allegato con fonti e bibliografia degne di una tesi di laurea. Perché, l’audacia del titolo «La Carbonara non esiste» (sottotitolo: indagine sul piatto principe della cucina romana che forse romano non è), appena uscito da Giunti, merita una serietà e un approfondimento storico-filologico che l’autore Alessandro Trocino, giornalista del Corriere, milanese, 53 anni, appassionato di uova e socio del ristorante «Eggs» a Trastevere, ha onorato in una narrazione dettagliata dell’universo carbonara. «Com’è possibile – si chiede l’autore – che un piatto dalle origini ignote sia stato adottato con forza dai romani e sia diventato un caposaldo della cucina italiana nel mondo?» Ricerche storiche, citazioni letterarie, aneddoti e curiosità scorrono per 160 pagine sulle tracce dell’autentica tradizione gastronomica capitolina scandagliando ogni dettaglio che possa collegarsi con il dorato e misterioso piatto. Dagli «attovagliamenti orgiastici» degli imperatori Tiberio e Nerone alle grottesche prelibatezze di Eliogabalo composte da cinquemila lingue di pappagalli parlatori. E se dagli esordi il consumo di pasta è associato all’uso di formaggio, bisognerà aspettare il 1773 per trovare anche l’uovo (in una specialità napoletana). Si passano poi in rassegna tutti i più noti ricettari del primo Novecento, da quello di Vittorio Agnetti all’opera di Alberto Cougnet fino all’entrata in scena di Ada Boni, gran dama e monumento della cucina romana. Ma non c’è traccia di carbonare o simili. Il 1952 è l’anno che consacra il piatto, ma incredibilmente la ricetta viene pubblicata su una guida di Chicago dove si cita il ristorante Armando’s, di proprietà di due italiani. E nel 1954, alla sua prima apparizione ufficiale su «La Cucina italiana», «la carbonara si presentava ricorda l’autore - con “aglio, gruviera e pancetta”: quanto basterebbe oggi a provocare tumulti popolari a Trastevere». Insomma, i dubbi sono tanti e di questo piatto tutto è incerto. Ma è proprio qui che Trocino individua una grande opportunità: «scodellare una carbonara liberata da sovrastrutture identitarie, libera di essere pienamente romana e capace di sorprenderci ancora, con la sapidità commovente del guanciale, la cremosità avvolgente del tuorlo d’uovo, la forza eversiva del pecorino, magari mitigato dalla saggezza antica del parmigiano».