«Non conosceva i farmaci, non poteva avvelenare la figlia»
Le motivazioni del Tribunale che ha assolto la madre arrestata per il tentato omicidio della bimba
È stata accusata di aver dato benzodiazepine, con dentro Midazolam, alla figlia di tre anni per ucciderla. Tesi respinta dal Tribunale che ha assolto Marina Addati, 32 anni, perché «priva delle competenze scientifiche, note solo agli addetti ai lavori, in materia di farmaci». Di conseguenza, per i giudici «le cause della malattia acuta della bambina (oggi guarita) rimangono incerte». Sono i passaggi chiave delle motivazioni con cui il collegio presieduto da Chiara Riva ha assolto la madre per non aver commesso il fatto, respingendo la richiesta di condanna della Procura a 12 anni.
La donna, va premesso, è al centro di una complessa storia giudiziaria. A Napoli è imputata con l’accusa di aver tentato di eliminare l’altra figlia, di due anni, con un diverso medicinale. Ed è da questa vicenda che bisogna partire per seguire il ragionamento dei giudici capitolini. È dicembre 2015 quando Sara (nome di fantasia, ndr), la più piccola, è ricoverata al Santobuono di Napoli per iperammoniemia grave (eccesso di ammoniaca nel sangue). La bimba rischia di morire ma supera la crisi e guarisce. Rimane il sospetto che qualcuno le abbia somministrato troppo acido valproico. Quasi un anno dopo, a novembre 2016, la sorella più grande, Lara
(altro nome di fantasia, ndr) è ricoverata nello stesso ospedale per un serio problema respiratorio. Nel sangue ha allarmanti livelli di Midazolam, all’origine degli scompensi. La piccola, visti i dubbi sulla malattia della sorella, è piantonata. Il timore è che sia la mamma a somministrare il farmaco.
La bimba non guarisce e viene trasferita a Roma al Bambino Gesù. Anche qui Lara è vigilata, ma continua ad avere crisi respiratorie. A gennaio 2017 la madre è arrestata. Per l’accusa, è affetta dalla sindrome di Münchhausen e per questo mette a rischio la vita della figlia. Ricostruzione respinta dai giudici. Nelle motivazioni il collegio esclude la somministrazione perché Lara è sempre sorvegliata, in camera e al bagno. E poi «appare improbabile» che la donna – difesa dall’avvocato Domenico Pennacchia - sia entrata in possesso dei farmaci con dentro il Midazolam, o perché sono di esclusivo uso ospedaliero o perché serve la ricetta. Infine, legare la vicenda di Lara a quella della sorella più piccola per i giudici è un «argomento suggestivo», perché «non vi è alcuna prova che l’imputata ha somministrato acido valproico». Anche se, nota il Tribunale, il processo a Napoli è ancora in corso.
L’altra accusa