Raffaello litigava
In una recente intervista a Emilia Costantini sul Corriere della Sera lo storico dell’arte, parlamentare e sindaco Vittorio Sgarbi dice, a un certo punto, che Raffaello «non ha mai litigato con nessuno», era dedito «alla gnocca» (fin qui niente da dire) e alla pittura. Ne vien fuori il ritratto di un geniale edonista un po’ pacioccone. Per la verità nella difesa e nella tutela di Roma antica il Divino Urbinate dimostrò un carattere quanto mai focoso e battagliero. Basta leggere il libro, fondamentale, di Francesco Paolo Di Teodoro «Raffaello, Baldassar Castiglione e la Lettera a Leone X» (Nuova Alfa Editoriale, 1994). Nella prefazione la storica dell’arte Marisa Dalai, a lungo docente a Milano e alla Sapienza, racconta di una lite furibonda, anche legale, col notaro Gabriele de Rossi ritenuto responsabile da Raffaello di aver trafugato reperti romani, con una tale foga da passare dalla parte del torto. Il grande pittore e architetto viene nominato da Leone X soprintendente alle antichità e 500 anni fa scrive con Baldassar Castiglione una storica lettera sulla tutela nella quale afferma, fra l’altro, con competenza e passione: «Quanti Ponparcheggiare tefici, Padre Santissimo, che avevano il medesimo vostro ufficio (ma non già il vostro sapere, il vostro valore, la vostra clemenza e grandezza d’animo), quanti Pontefici, sottolineo Pontefici, si sono applicati a distruggere templi antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi (…). Annibale non avrebbe fatto di peggio. Tante colonne e templi atterrati, soprattutto da messer Bartolomei dalla Rovere, vescovo, fratello di papa Giulio II e nipote di papa Sisto IV (…). Deve essere nostra cura assidua tutelare e conservare quel poco che ci resta di questa antica madre della gloria e della grandezza italiana». Lettera che è stata alla base dei bandi e delle leggi successive per la tutela del patrimonio culturale, grazie al tutt’altro che pacifico Raffaello.
Vittorio Emiliani