A Quiet Evening... antiquariato snob
In scena all’Olimpico per Romaeuropa, A Quiet Evening of Dance di William Forsythe, nato a New York settant’anni fa. Considerato dagli esperti un capolavoro della danza minimalista, a me sembra, nel senso ultimo, non dissimile dalla riproposta de La rivolta degli oggetti da parte della Gaia Scienza. Lo spettacolo è diviso in due tempi. Il primo su musica di Morton Feldman (poche note dopo lungo silenzio, sempre ripetute e ai limiti dell’udibile) è strutturato su apparizioni di uno, due o tre ballerini. Compiono gesti elementari, si direbbe più con le braccia che con le gambe o con il corpo intero. Le braccia si muovono davanti al petto o si levano in alto. Mostrano i loro colori: giallo, rosso, viola. Li si potrebbe pensare contrapposti. Vi è tra alcuni e gli altri un’allusione di tipo antagonista – come tra ricchi e poveri (i poveri sono quelli là in terra, contorti su sé stessi, quasi sofferenti). Gli stessi squillanti colori tornano nel secondo tempo, ben più movimentato e di più alta sonorità. Le musiche sono di Jean Philippe Rameau e i corpi muovono passi di danza di continuo multiformi, eccentrici, imprevedibili. Questo secondo tempo, dal misterioso titolo Seventeen/Twenty One è di gran lunga più piacevole, non per nulla punteggiato dai continui applausi del pubblico ad ogni cambio delle brevi scene. L’insieme tuttavia offre l’impressione di un elegante e snobistico antiquariato. Anche noi, che esperti non siamo, è come avessimo già cento volte visto ciò che altro fine non ha se non la perfezione formale del movimento.