I MOSTRI CHE NON MUOIONO
«Non sono mai riuscito a prendere in braccio un neonato, nemmeno i miei figli, perché ad Auschwitz i nazisti ci facevano tirare in aria bambini di pochi mesi e si divertivano a ucciderli, come nel tiro a piattello». Questo, e molto altro, ha raccontato a lungo Alberto Sed - catturato nel Ghetto il 16 ottobre 1943 - nelle scuole e in mille seminari, ammutolito dal dolore. Lo ha sempre fatto col sorriso, come ha ricordato ieri la presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, che ha anche rammentato il numero A5491 impresso sul braccio di Alberto Sed a Birkenau. Sed (che vide uccidere la madre e due sorelle, una sbranata dai cani delle Ss) ha chiuso a 91 anni la sua lunga, tragica esistenza nelle ore in cui mille forme di antisemitismo, di razzismo, di intolleranza emergono dalle oscure paludi dell’ignoranza storica, della cancellazione della Memoria, di una paranoica concezione del nazionalismo. Come dimostra il recentissimo episodio dei disgustosi, gravissimi insulti antisemiti registrati su una vicenda squisitamente legale (il nodo dello sfratto dei locatari del Caffè Greco, le cui mura sono di proprietà dell’Ospedale Israelitico), proprio la Memoria non è un esercizio retorico. E’ un doveroso nutrimento civile delle nuove generazioni. Basterebbero quelle frasi sul web per capire che siamo sempre in emergenza: certi mostri magari sonnecchiano, ma disgraziatamente non muoiono mai.